– Ilaria Clara Urciuoli –
Una lettera alla moglie per spiegare, in un italiano stentato, che ha ucciso perché continuamente screditavano l’onore suo e della consorte (“Certo essere sbeffeggiato giornalmente dai crudeli genitori dicendo sempre che sono un becco”), un biglietto intimidatorio (“pensa quello che fai che noi si aspetta da te tempo di otto giorni per una tua risoluzione, e se non metti le cose in regola uno basta per farti la pelle”), coltelli e proiettili ma anche una cartolina ironica raffigurante un caratteristico esemplare di uomo-cervide; e poi ancora monete e banconote false come falsi certificati: sono questi alcuni degli oggetti tolti alla polvere di un archivio che, esposti nella mostra “Atti e misfatti. Carte e corpi di reato dai procedimenti giudiziari tra ‘800 e ‘900” visitabile presso l’Archivio di Stato di Grosseto, si fanno portavoce e rievocano tante storie di uomini e donne del nostro passato, facendoci così vedere debolezze, valori, furberie, modi di vivere nella bassa Toscana negli anni immediatamente successivi all’unità d’Italia.
In attesa della presentazione del catalogo della mostra, che si terrà domenica alle 10.30, proponiamo ai nostri lettori una passeggiata tra quei documenti accompagnati direttrice dell’Archivio, Eloisa Azzaro, che ci racconta il fascino e difficoltà del suo lavoro.
“La mostra nasce dal lavoro di schedatura della documentazione del Tribunale postunitario e ha interessato i documenti dal 1860 al 1929, oltre 500 buste in parte schedate all’epoca del versamento all’Archivio di Stato nel 1970, che noi abbiamo ripreso anche grazie ai tirocinanti dell’Università e al personale di sala. In questa fase abbiamo scoperto dei piccoli tesori, ossia il materiale tangibile e i corpi di reato allegati agli atti che abbiamo voluto usare per realizzare un percorso espositivo che non fosse strettamente documentario ma che risultasse anche coinvolgente ai più”.
La mostra ha un taglio tematico che parte dai delitti passionali e prosegue con documenti relativi a reati di estorsioni e minacce: tra i documenti esposti troviamo un pezzo di storia della Maremma nella firma di uno dei briganti più noti, Tiburzi. “Si tratta in realtà di un falso. – ci spiega Azzaro – Chi ha commesso l’estorsione si è firmato con il nome di Tiburzi nella speranza di ottenere più facilmente i soldi. La firma non è realmente sua”.
La sezione relativa alla falsificazione degli atti ci strappa un sorriso: nella relativa bacheca troviamo un certificato di malattia in cui da 4 giorni di permesso si passa, con un’aggiunta un po’ troppo palese, a 24 giorni ma anche un biglietto ferroviario in cui era stata falsificata la classe in cui viaggiare (da terza a seconda). Accanto a questo troviamo una busta contenente il ruolo matricolare che, ci spiega la direttrice, “è un atto che l’uomo portava con sé quando cercava lavoro, soprattutto nel settore pubblico (nelle Ferrovie ad esempio, oppure alle Poste). È un foglio in cui c’è scritto se eri stato un buon soldato oppure no: la carriera militare aveva valore a quei tempi. In questo caso – dice indicandoci una lettera intestata ‘Distretto militare di Pisa’ – il ruolo matricolare è stato falsificato. Probabilmente si trattava di un disertore”.
A colpire lo sguardo del visitatore è sicuramente la sezione sulle banconote e le monete false, tante per una provincia come Grosseto. Il materiale proviene dai fascicoli dell’istruttoria quindi i vari casi sono rimasti irrisolti, senza aver individuato il colpevole. Anche in questa bacheca troviamo un nome importante per la storia locale: Talete Cosimini (“di fu Archimede”). Fu lui uno degli esponenti della famiglia che ha avuto un ruolo di primo piano nella zona per lo sviluppo delle macchine agricole con una ditta che, aperti i battenti poco prima dell’Unità d’Italia, sarebbe durata per oltre cento anni. Fu proprio tale Talete a portare alle forze dell’ordine una di queste banconote, una banconota da mille lire (di enorme valore dunque all’epoca in cui si svolsero i fatti ossia all’inizio del Novecento). “Particolarmente interessanti sono le perizie che accompagnano banconote e monete. Sono queste a spiegarci come è stato possibile riconoscere i falsi (la calligrafia, l’inchiostro, la grana, il disegno)”.
Il percorso continua con il reato di oltraggio a pubblico ufficiale: “Sono moltissime le denunce di questa natura”. A testimonianza di queste troviamo svariati oggetti tra cui un poster dell’Unione Anarchica Maremmana che fu trovato dalle guardie tra i manifesti elettorali e un foglio che elogiava l’attentato al Duce e vedeva scritto in calce “Chi questo foglio staccherà fra non molto si gratterà”. Nessuna implicazione politica era invece contenuta in un altro dei documenti esposti, un foglio manoscritto su cui si legge “Cerco moglie”. “Dagli atti – spiega la direttrice – emerge che una guardia di pubblica sicurezza aveva sporto denuncia verso ignoti perché qualcuno (probabilmente un ragazzetto) gli aveva attaccato alle spalle questo biglietto. Un documento come questo ci mostra bene come la società cambi. Oggi, abituati ai social ma non solo a quelli, non ci scandalizzeremmo forse tanto, mentre all’epoca l’episodio fu motivo di denuncia”.
La mostra espone anche la documentazione relativa alla vicenda del giurisdavidismo e a David Lazzeretti. “Nei nostri archivi resta questo, ma non è tutto. Molte cose di cui abbiamo testimonianza in alcuni documenti non si trovano più poiché tutto il materiale documentario è stato spostato in diverse occasioni tra Roma, Firenze, Siena e Grosseto, finendo di fatto per perdersi”. Una storia importante (che abbiamo ricordato in un altro articolo) che ebbe negli anni immediatamente successivi all’unificazione nazionale risonanza ben oltre la nostra regione perché, almeno agli occhi della autorità, andava al di là dell’esperienza religiosa e aveva dei risvolti sociali fortemente temuti. “Inoltre i colpi di fucile che ferirono diversi innocenti e uccisero il cosiddetto Messia dell’Amiata partirono dalle guardie di sicurezza e questo creò una serie di problemi”.
Delle due vetrine sugli infortuni sul lavoro (in buona parte avvenuti in miniere) colpisce il disegno realizzato per indicare le dinamiche di un incidente tra un sidecar e una macchina. Un CID storico curato nei minimi dettagli estetici. Concludono l’esposizione alcuni documenti della Procura della Repubblica: “È un fondo questo piccolo ma preziosissimo – ci spiega la dottoressa Azzaro – perché ci permette di avere materiale relativo agli anni trenta e quaranta. I fondi giudiziari arrivano, per quello che riguarda il Tribunale, al 1929 perché il materiale che copre il periodo della guerra fino agli anni 40 si è perso a causa di un allagamento. L’archivio della Procura, che abbiamo acquisito recentemente, copre invece anche quegli anni”.
Entrata come archivista nel 2019 e di fresca nomina come direttrice, Eloisa Azzaro di formazione è una medievista con alle spalle anni di lavoro sul materiale conservato a Siena. Attraverso le sue parole capiamo il fascino di questo lavoro: “Quando sono arrivata a Grosseto – spiega – mi sono dovuta catapultare sull’Ottocento perché la documentazione qui conservata è relativa principalmente a quel periodo. Devo dire però che è stato molto bello perché ho imparato tantissime cose della mia città. Ed è ancora così. Ogni volta viene fuori qualcosa al quale non avevi mai pensato o che non ti eri mai chiesto. Ho imparato a passeggiare per la città guardando in alto perché abbiamo tanto materiale sugli edifici demaniali del centro di cui ho scoperto la storia imparando anche ad osservarli meglio, con occhio più attento. È un lavoro meraviglioso. Si fanno e si scoprono sempre tante cose nuove”.
Le chiediamo quale sia la reazione del pubblico davanti a questi documenti: “Chi ha visitato la mostra ne è rimasto entusiasta, anche i ragazzi che erano giunti incuriositi forse dal fascino del crimine. C’è sempre una sorta di soggezione nei confronti del materiale documentario, la provo anche io, ancora oggi! La cosa difficile, come sempre, è far venire le persone. Non è un problema trasmettere il valore di quello che vedono. Difficile è far capire che l’Archivio di Stato è un luogo di conservazione e valorizzazione un po’ come il museo. Non viene vissuto così dalla cittadinanza. È vero che si occupa principalmente di ricerca ed è forse uno dei luoghi della cultura più difficili perché bisogna leggere delle scritture che sono complesse, sciogliere delle abbreviazioni, conoscere le istituzioni e i loro ambiti di azione per poter ritrovare le informazioni. Qui non si viene per cercare libri sulla storia di un luogo, qui si viene per ricostruire quella storia in base a ciò che è di nostro interesse (la politica, le tecniche, un particolare settore ecc.). L’approccio alla ricerca dunque non è semplice e bisogna avere esperienza alle spalle. Al di là di questo però c’è anche una sorta di diffidenza nei nostri confronti che un po’ scontiamo”.
Le mostre sono anche l’occasione per far conoscere questo luogo e il lavoro non semplice che c’è alle spalle dunque. “Sì. Questo lavoro non è semplice perché la documentazione è un po’ infida: dipende molto da come è stato schedato il materiale e cosa ha scritto chi l’ha guardato. Se chi lo ha elaborato non ha dato sufficiente rilevanza a determinati elementi non sarà facile recuperare i documenti che cerchiamo. Noi ad esempio ci troviamo in grossa difficoltà quando cerchiamo le sentenze o alcuni atti soprattutto civili: nelle rubriche vengono indicati i nomi delle parti in causa, ma spesso a comparire sono i nomi dei procuratori, non quelli dei cittadini interessati. Quindi posso avere venti cause civili intestate alla stessa persona, che però è il procuratore. L’unico modo per capire chi è coinvolto realmente quindi è aprire ogni singolo atto. E qui abbiamo migliaia e migliaia di fascicoli. Ecco perché realizzare una mostra è impegnativo. Inoltre gli stessi supporti materiali sono di difficile gestione perché nell’archivio sono tutti rilegati. Quasi tutta la documentazione relativa al fascicolo veniva a conclusione rilegata per cui noi abbiamo fascicoli anche molto alti che non possiamo esporre così”.
Tra pochi giorni gli oggetti esposti saranno nuovamente riposti negli archivi che restano sempre gratuitamente consultabili. Per chi non ha mai provato il fascino di vederli l’appuntamento è per domenica alle 10.30 quando, insieme alla presentazione del catalogo, si potrà assistere a una visita guidata e scoprire i singoli pezzi e la loro (e nostra) storia.
Ilaria Clara Urciuoli