Federico Vittori

Negli ultimi mesi mi sono più volte posto una domanda: esiste davvero a Pisa un “problema sicurezza”? Leggendo i bollettini più o meno quotidiani su risse, spaccio e violenze varie, si direbbe di sì. Così come seguendo i vari dibattiti pubblici e politici in merito sui giornali locali. Risale a qualche giorno fa, ad esempio, lo scontro a mezzo stampa andato in scena fra Dario Nardella e Michele Conti, sindaci rispettivamente di Firenze di Pisa, sulle colonne de La Nazione. Il tema è proprio quello della sicurezza: Nardella ventilava presunti favoritismi politici verso Pisa nell’assegnazione dei militari di “Strade Sicure” a scapito di Firenze, e Conti rispondeva respingendo le insinuazioni e incensando la propria amministrazione. Una dinamica da copione, che, come al solito, vede uno scontro basato più sul carisma dei contendenti, che non sull’importanza o urgenza dei temi trattati. Tanto è vero che il problema rimane. E non si tratta, per Pisa, dei 15 militari che le vengono assegnati anziché a Firenze, ma di un problema che va ben oltre le pagine dei quotidiani, e tocca tanto la politica quanto la vita delle persone.

Un “problema sicurezza” probabilmente esiste, e questo non perché lo dicano Nardella, Conti, o i vari onorevoli e consiglieri di turno. Nel caso di Pisa, ad attestarlo ci sono, ad esempio, i dati riportati nell’Indice della Criminalità del Sole24Ore, stando ai quali nel 2022 il capoluogo di provincia risultava al 21° posto in Italia per il numero complessivo di denunce presentate (15.134) e 4° capoluogo in Toscana per incidenza di reati; al 26° posto per le violenze sessuali, e al 36° per i reati inerenti agli stupefacenti; 10° posto per i furti, 11° per i furti nelle attività commerciali, e 3° posto assoluto per i furti in abitazione. Numeri non certo lusinghieri, e sicuramente indicatori di una situazione relativa all’ordine pubblico alquanto complessa. Che non stupisce più di tanto, tuttavia, se rapportata alla realtà urbana della città della Torre.

Pur avendo una popolazione di poco al di sotto dei centomila abitanti, infatti, Pisa, che nel 2022 ha attirato oltre un milione e mezzo di turisti col suo complesso monumentale, è sede di uno dei poli ospedalieri più grandi e importanti d’Italia, e ospita alcune fra le più blasonate istituzioni accademiche nazionali ed internazionali. Per non parlare di stazione ferroviaria e aeroporto, che costituiscono la porta d’ingresso in Italia e in Toscana per milioni di viaggiatori ogni anno. Una città in cui, stando ai dati pubblicati sempre dal Sole24ore, vivono stabilmente oltre 30.000 studenti universitari, che costituiscono quasi il 40% della popolazione residente.

In un contesto simile è tutto sommato fisiologico che sorgano dei problemi relativi alla gestione dell’ordine pubblico, soprattutto se legati alla microcriminalità, ma anche alla vita notturna, di cui i giovani sono i principali animatori. Nulla di assurdo o di emergenziale, soprattutto se rapportato ad altri contesti, ben più grandi e ben più problematici di una città di medie dimensioni come Pisa.

Il fatto è che, quando si parla di “problema sicurezza” nel dibattito pubblico, spesso e volentieri ci si riferisce ad un aspetto in particolare di questo tema, ossia la percezione della sicurezza (e quindi di insicurezza). Facendo troppo spesso prevalere l’elemento psicologico suscitato dal ravvicinato susseguirsi di episodi di cronaca, rispetto all’elemento razionale e obiettivo. Perché le questioni relative all’ordine pubblico, in realtà, sono direttamente e strettamente correlate a molti e diversi fattori fra loro interconnessi, come il livello di disagio sociale, il degrado urbano (ricordo la celebre “teoria dei vetri rotti”), o il livello di integrazione delle varie comunità straniere nel tessuto sociale ed economico, che richiedono un’interpretazione basata su specifiche chiavi di lettura e un approccio multidisciplinare. La politica, al contrario, soprattutto in occasione delle tornate elettorali, ha l’abitudine di trasformare temi così complessi e delicati in mere questioni di opinione, da cui finiscono per nascere delle letture completamente sbagliate o molto limitate di certi fenomeni. Letture che portano a sopravvalutare enormemente i sintomi di certi problemi, e a sottostimarne (o peggio ignorarne) le cause profonde.

Ed è proprio quello che è accaduto a Pisa negli ultimi cinque anni, con la complicità di pressoché tutte le forze politiche. Assenza e carenza di contenuti politici solidi, continue manipolazioni dell’opinione pubblica, unite ad errori e superficialità in termini amministrativi, sono ciò che ha comportato per il capoluogo alfeo la situazione che si evince chiaramente dai dati, ma che si tocca con mano in quasi tutta la città ormai da anni. E di cui nessuno si assume più la responsabilità, preferendo invece sbandierare piccoli e poco rilevanti risultati come se fossero conquiste epocali, o limitarsi a polemizzare con l’avversario sulle sue debolezze. Intanto i problemi restano, e il “tema sicurezza” rimane in città uno degli oggetti di dibattito principali – dai tavolini dei bar agli scranni del consiglio comunale –, senza riuscire a diventare davvero una priorità.

A questo punto sorge spontanea un’altra domanda: come si è arrivati a tutto questo? Perché la politica si è impantanata in questo stallo e non riesce più ad elaborare una proposta efficace? La risposta a questa domanda non è semplice, ma tentare di darla significa scegliere quell’approccio al problema di cui parlavamo prima, indagando più sulla causa, che non sul mero sintomo.

A mio avviso sono tre gli aspetti principali che devono essere necessariamente considerati in questo senso. Intanto c’è un problema di metodo, per cui è evidente la rottura del classico paradigma di funzionamento della politica: trovare risposte semplici a temi complessi, elaborando delle proposte basate su una precisa lettura della realtà, e derivate dal confronto dialettico tra tutte le diverse letture. Fra le tante cause possibili di questa rottura c’è, ad esempio, una sostanziale scarsità di mezzi e di risorse (intellettuali e materiali) adeguati a leggere la realtà; ci sono errori di scelta e selezione della classe dirigente stessa; e, non da meno, una sfiducia generalizzata dei cittadini verso un sistema che si è mostrato spesso compromesso o alla lunga debole (ogni riferimento al civismo è del tutto casuale), e verso persone in cui fanno fatica a riconoscersi.

Da questo mix derivano, da un lato, una classe politica incapace di prendere decisioni e di elaborare una proposta efficace che raccolga consenso, e dall’altro un sistema di scelta da parte degli elettori basato molto più su criteri di compromesso, che non di opinione. Pisa, in tutto ciò, non fa testo, con un contesto politico che ha visto sempre meno ricambio generazionale, in particolare nella sinistra dei “soliti noti”, e un’impostazione ideologica (e psicologica) logora, soprattutto sul tema sicurezza, incapace di superare la classica contrapposizione fra modello “legge e ordine” e multiculturalismo ad ogni costo. Lo dimostrano quelle parole pronunciate da Michele Conti come candidato sindaco nel 2018, e replicate tal quali come sindaco al secondo mandato, nel 2023: “La sicurezza è la nostra priorità assoluta”. E lo dimostra l’opposizione sterile della sinistra, che su questi temi, il massimo che abbia saputo partorire si riassume in una frase che io stesso sentii pronunciare qualche tempo fa in occasione di un incontro politico: “La sicurezza è un tema della destra”. Punto.

Tutto questo ci porta inevitabilmente alle questioni di carattere prettamente politico. Senz’altro, guardando ai risultati delle recenti amministrative, oltre ad un tasso di astensione record (che conferma e sostiene quanto sopra), l’immagine che restituiscono le urne è quella di una città divisa sostanzialmente tra due fronti: da una parte un centro-sinistra debole, litigioso, diviso, incapace di emendarsi dagli errori del proprio passato, e che paga lo scotto di
un candidato sindaco di scarso carisma ed esperienza; dall’altra un centro-destra reduce dalla sua prima esperienza di governo cittadino, caratterizzato da un’attività amministrativa superficiale, a tratti confusa, molto poco attenta a cultura e sociale, e riconfermato per una manciata di voti. Ma l’immagine è anche quella di una città che ha creduto molto più nelle liste civiche slegate dai partiti “tradizionali”, in particolare a destra (si veda la lista di Conti, che ha
incassato il 14%, poco meno di FDI), testimoniando un bisogno di emancipazione da un sistema politico in cui i partiti danno un’immagine di sé evidentemente troppo chiusa, per non dire criptica.

I cittadini, soprattutto a livello locale, si sono riconosciuti di più nel nome e nell’esperienza del singolo (e nel suo protagonismo, come nel caso di Raffaele Latrofa, campione di preferenze), che nella struttura di partito, confermando una sfiducia trasversale che coinvolge destra e sinistra in egual misura. Una sfiducia che, però, è anche verso una politica priva da ambo le parti di un programma politico propositivo, concreto, e incagliata in diatribe interne fra fazioni (non esente la destra, come raccontano i vari casi “Poli” o “Buscemi” all’indomani delle elezioni), che la allontanano sempre di più dai cittadini, e dalla realtà quotidiana. Come sul tema sicurezza.

Basta leggere il dato sull’astensione per rendersene conto, e per rendersi conto che il tanto propagandato mix di prevenzione e deterrenza (telecamere e ampliamento dell’organico di polizia municipale) a nulla è servito neppure per aumentare nei cittadini la percezione di sicurezza. Semmai sono servite a molti per comprendere la realtà di un’amministrazione comunale che, rispetto a questo tema, se da un lato non ha di fatto poteri (tutti in capo allo Stato sulla pubblica sicurezza), dall’altro ha agito in modo molto approssimativo dove avrebbe potuto. Perché non ha mai avuto chiaro il significato più profondo del concetto di prevenzione, basato su interventi mirati nel tessuto sociale e culturale della città, contribuendo a creare se possibile le condizioni per la situazione attuale. Con un problema di ordine pubblico che, per quanto “priorità assoluta”, è finito progressivamente per sconfinare dal “quadrilatero buio” della stazione, arrivando in zone tradizionalmente mai coinvolte (come il centro storico), e che sta trasformando via Cattaneo e parte della zona di Porta Fiorentina oramai in un ghetto.

Del resto, quello dell’approccio al problema sicurezza è sempre stato il limite più grande di questa amministrazione – ma anche della sinistra, non dimentichiamolo -, e affonda storicamente le sue radici nel terzo aspetto della nostra analisi, quello storico, portandoci alla campagna elettorale del 2018. Una campagna elettorale contraddistinta a destra da un’impostazione fortemente securitaria, mutuata anche dal contesto nazionale (è il periodo dell’ascesa di Salvini e della “politica della ruspa”), e condotta facendo leva su un malcontento molto diffuso verso l’amministrazione Filippeschi-bis, specie nei quartieri più popolari della città. Un malcontento generato dalla percezione di una politica poco attenta alle periferie, e sempre più lontana dal suo elettorato di riferimento (da qui la famosa espressione “sinistra ZTL”). Da non dimenticare, oltretutto, le diatribe interne che condussero la coalizione di centro-sinistra, e in particolare il progetto di “Liberi e Uguali” a sfaldarsi dopo poco più di un mese dal voto delle politiche, perdendo i 10 punti percentuali guadagnati in occasione di quella tornata. Fu così che, di fronte ad una maggioranza in evidente crisi, la destra ebbe sostanzialmente campo libero, e si trovò al potere per la prima volta dall’introduzione dell’elezione diretta del sindaco, nel 1993.

Quello che stupisce, guardando al 2018 col senno di poi, è pensare a quel risultato, in parallelo con quello di oggi, nonostante una proposta sulla sicurezza dell’allora candidato del Pd Serfogli sostanzialmente identica a quella della destra, e una attività amministrativa di Conti & co. che nel quinquennio 2018-2023 è stata tutto meno che efficace sul problema sicurezza, di fatto sconfessando le molte promesse fatte in principio. Fra ordinanze anti-degrado che non hanno risolto molto, un rapporto fra amministrazione e polizia municipale divenuto negli anni sempre più teso, e il progressivo smantellamento degli organismi di partecipazione in favore dei più “malleabili” comitati, l’esperimento della destra sulla sicurezza è risultato complessivamente fallimentare. Tantoché, dopo le polemiche della campagna elettorale, il sindaco Conti, oltre a mantenere per sé le deleghe relative, ha recentemente annunciato una riforma nella struttura di vertice del corpo, con cui viene introdotta la figura del “funzionario di elevata qualificazione” in sostituzione del più autonomo dirigente, rendendo la polizia municipale molto più dipendente dal potere politico. Tutti segni di un affanno a cui, però, la sinistra non riesce a rispondere in modo adeguato, mostrandosi ancora incapace di vestire i panni dell’opposizione, e quindi di alternativa credibile al centro-destra.

Conclusione? Sono almeno sei anni che la sicurezza è nel dibattito una priorità, e un disastro nella realtà, dunque ancora un problema. Per i difetti di chi amministra, e per l’inconsistenza di chi dovrebbe fornire un’alternativa. Tutto questo di fronte ad un disagio crescente e un malessere inascoltato, soprattutto nel tessuto sociale dei quartieri più difficili, usati troppo spesso come passerelle e squallidi trofei da esibire – fra parchi pubblici desertificati e curiosi concetti di rigenerazione urbana. Senza voler in questo scimmiottare politicamente qualcuno, è davvero difficile non parlare in questo senso di propaganda; la stessa, del resto, delle mostre sotto le Logge dei Banchi, che evidentemente non conoscono più colore politico.

Sarà con questi argomenti che maggioranza e opposizione si presenteranno di nuovo agli elettori nel 2028?

Federico Vittori

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