In Toscana, a differenza di altre zone d’Italia, l’agricoltura per secoli si è basata sulla mezzadria. Tipico del sistema feudale, questo sistema era molto diffuso anche in Emilia Romagna, nelle Marche e in Umbria. Il proprietario godeva della sua rendita senza troppo scervellarsi, concedendo la metà dei frutti della terra al coltivatore (mezzadro), che poteva decidere come meglio voleva su cosa piantare e come lavorare la terra. Il mezzadro perlopiù si basava sulla forza lavoro che la sua famiglia era in grado di dargli, ma si avvaleva anche di alcuni lavoratori extra nei periodi di massimo sforzo produttivo.
Criticata da alcuni, perché avrebbe impedito uno sviluppo dell’agricoltura su basi imprenditoriali, la mezzadria ebbe anche degli indiscussi meriti. Il più grande di tutti è stato quello di aver evitato le inefficienze tipiche del latifondo, che nella stragrande maggioranza dei casi prevedeva uno sfruttamento intensivo delle coltivazioni, senza badare troppo al sottile. Esempio: la produzione a grano di tutti i terreni, senza contemplare altri tipi di coltivazione, nemmeno nei tratti collinari, con la conseguente minore resa. Se dopo l’Unità d’Italia nel Settentrione iniziarono a vedersi le prime iniziative imprenditoriali legate all’agricoltura, al Sud invece rimase fortissimo il controllo nelle mani dei baroni, che sulle loro terre esercitavano un potere di vita o di morte.
Ma perché vi facciamo questa piccola introduzione storica? Dove vogliamo arrivare?
L’idea ci è venuta leggendo l’inchiesta del quotidiano il Tirreno, che in prima pagina ha aperto con questo titolo: “Gli schiavi dei campi“. Viene denunciata la piaga dello sfruttamento del lavoro agricolo in Val di Cornia, con il caporalato che porta a pagare 37 euro al giorno per 15 ore di lavoro. Fate due calcoli, vengono 2,46 euro circa all’ora. Com’è possibile arrivare a pagare così poco un lavoratore? Si può parlare di sfruttamento o addirittura di schiavismo? Perché è difficile immaginare che vi siano dei diritti laddove la paga oraria non raggiunga neanche 2,50 euro.
La Val di Cornia si trova nel lembo meridionale della provincia di Livorno, a cavallo tra la Maremma Livornese e la Maremma Grossetana. Le località principali sono: Piombino, San Vincenzo, Campiglia Marittima, Suvereto, Sassetta e Monteverdi Marittimo. Sono zone di gran pregio, dal punto di vista turistico, con terreni che si sposano benissimo con le coltivazioni di viti e olivi.
La Guardia di finanza ha trovato alcuni campi, nella zona di Campiglia Marittima, dove ogni giorno faticavano un centinaio di braccianti, sia italiani che stranieri, con paghe miserabili: come dicevamo, neanche 2,50 euro all’ora, quando il minimo stabilito dalla legge sarebbe 7,50 euro. Ad aggravare la situazione c’erano le minacce fisiche e di ripercussioni sul lavoro, per chi osava protestare e chiedere condizioni migliori. I lavoratori sfruttati erano sia italiani che stranieri. Per questi ultimi c’era la possibilità di vivere (pagando un affitto) in un casolare, senza acqua potabile e in condizioni igieniche pessime. Il costo per potersi riparare in quella stamberga veniva decurtato dal già misero stipendio mensile. Ai poveri disgraziati, sfruttati ogni giorno nei campi, veniva chiesto anche il costo dei guanti da lavoro e delle scarpe.
Siamo davanti a una situazione di degrado e di palese violazione delle leggi vigenti, ma quanti casi come questi ci sono in Italia? Chi si arricchisce dietro a questi gravi episodi di mortificazione della vita umana e del lavoro? I controlli ci sono ma evidentemente non sono sufficienti a debellare tutto il marcio che impera lungo lo Stivale. Dire che si stava meglio con la mezzadria era una battuta, ovviamente, nessuno si sogna di voler incensare l’ipotetica grandezza di un non meglio definito passato. Lo sfruttamento esisteva anche un tempo, ovviamente. Ma colpisce, ogni volta, dover prendere atto che, in molte zone del Paese, ancora oggi vige la schiavitù. Forse le pene per i responsabili sono troppo leggere? Non abbiamo la risposta in tasca, ci chiediamo solo perché sia possibile, in un paese libero, uno schifo di questo genere.