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Le mani della mafia in Toscana: 12 arresti

- Cronaca
6 Febbraio 2020

Dodici persone sono state arrestate dalla Guardia di finanza di Prato con l’accusa di associazione a delinquere e riciclaggio di diversi milioni di euro per favorire Cosa nostra. Il blitz è scattato alle prime luci dell’alba, coinvolgendo circa 300 finanzieri su tutto il territorio nazionale. L’operazione, denominata “Golden Wood”, è stata presentata in una conferenza stampa dal procuratore Giuseppe Creazzo e dal procuratore nazionale Antimafia Federico Cafiero De Raho.

Le persone arrestate sono accusate di aver aiutato la cosca mafiosa di Corso dei Mille di Palermo. Sequestrate 15 aziende, 86 conti correnti e varie disponibilità finanziarie. Oltre sessanta gli indagati, 120 le perquisizioni effettuate. L’organizzazione aveva il compito di riciclare i soldi derivanti dagli affari criminali della famiglia palermitana, capeggiata da Pietro Tagliavia, condannato in via definitiva per associazione mafiosa, figlio di Francesco Tagliavia, già esponente di picco del mandamento di Brancaccio, condannato all’ergastolo per la strage di via d’Amelio, a Palermo, e per quella di via dei Georgofili a Firenze.

Nello specifico agli arrestati e indagati viene contestata l’associazione per delinquere finalizzata ai reati di riciclaggio, autoriciclaggio ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, l’intestazione fittizia di beni, contraffazione di documenti di identità e sostituzione di persona. Dei dodici arrestati, sei in carcere e altrettanti ai domiciliari, dieci sono originari di Palermo e provincia, due della Puglia. Sette sono residenti nel capoluogo siciliano, due a Prato, due a Campi Bisenzio (Firenze) ed uno a Sesto Fiorentino (Firenze).

Ditte inesistenti per ripulire il denaro

L’inchiesta, coordinata dalla Dda di Firenze, è partita da alcuni accertamenti della Gdf di Prato, da cui è emerso che alcune persone si avvalevano di documenti di identità falsi (intestati a persone inesistenti) per movimentare ingenti somme di denaro di dubbia provenienza. Successivamente sono stati scoperti collegamenti con la mafia siciliana. L’associazione a delinquere per riciclare denaro di provenienza illecita aveva creato e gestito, mediante prestanome, una galassia di imprese con sedi in tutto il territorio nazionale e in particolare in Toscana, Sicilia e Lazio (in totale 33). Alcune aziende esistevano, altre erano solo sulla carta. Ufficialmente tutte erano impegnate nel commercio di pallets, le pedane in legno usate per il trasporto di vari tipi di materiale.

Gli inquirenti hanno ricostruito un giro di denaro illecito pari a circa 150 milioni di euro, di cui 39 provenienti da persone di Palermo legate alla mafia. Le fatture per compravendite inesistenti erano emesse sia tra aziende facenti parte del gruppo criminale, sia a favore di aziende estranee che ne beneficiavano a livello fiscale. Le imprese “pulite” versavano gli importi relativi alle false fatture per i pallets mai venduti. Le somme venivano poi restituite in contanti con una decurtazione del 10%.

Le mani della mafia in Toscana

Secondo gli inquirenti gli indagati si erano messi a completa disposizione di Pietro Tagliavia nel periodo in cui egli era detenuto presso la casa circondariale di Prato, tanto da trovargli nel 2017 un’abitazione a Campi Bisenzio, dove aveva scontato gli arresti domiciliari e fornirgli, clandestinamente, un telefono con cui mantenere contatti anche con i propri sodali in Sicilia.

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Giornalista.

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