– Antonio Casalini –
Stefano Pasqualetti è un pisano doc, cresciuto fra i vicoli del centro storico e le spallette dei lungarni. È un ragazzo sveglio. Terminato il liceo scientifico cittadino, si iscrive alla facoltà di Architettura dell’Università di Ferrara, poi alla Scuola Normale Superiore… e da lì decolla! In breve arriva a Milano, dove lavora nello studio di David Chipperfield. Le sue passioni sono l’architettura e la fotografia, entrambe ereditate dal padre, noto Architetto nella città della torre.
Milano è intrigante, vivace, in continuo movimento…ma non rappresenta un punto d’arrivo. Ed ecco quindi la chiamata direttamente dalla Grande Mela: Peter Marino Architet.
Stefano si trasferisce definitivamente a New York City otto anni fa, ottiene l’ambita “Green Card”, ma rimane molto legato alle sue origini. La prima mostra che allestisce nella metropoli americana è infatti “Emotions from Pisa” (con Zerilli-Marimò). una galleria d’immagini dedicate alla sua città natale.
Il giovane fotografo e architetto trentaquattrenne è adesso un brillante professionista, innamorato del suo lavoro, che incontriamo a Milano, in Galleria, per la presentazione della sua ultima fatica. L’opera si intitola “New York Architectural Time” (Rizzoli editore) ed è una raccolta di fotografie della Grande Mela, prese da angolazioni diverse dal solito, evitando le usuali immagini iconiche, ma concentrandosi su particolari, scorci e atmosfere catturate in ben sei anni di “appostamenti” da mezzanotte a mezzanotte. In pratica un’intera giornata lunga sei anni e filtrata attraverso il variare delle stagioni e delle condizioni atmosferiche, sapendo cogliere gli “attimi fuggenti” offerti dallo spettacolare panorama newyorkese.
Nella foto di copertina, si intravede, ergersi maestoso fra le nuvole, il pennone dell’Empire State Building. La foto è stata scattata in un’uggiosa giornata di pioggia, che non invogliava certo ad andarsene in giro con la macchina fotografica. Ma Stefano è ben cosciente che bisogna essere sempre pronti a cogliere l’attimo, che infatti, nell’occasione, arrivò sotto forma di un raggio di sole che, facendosi largo fra le nuvole, andò a baciare l’estremità del grattacielo più alto della metropoli. Dice il fotografo: “Eravamo lì in tanti, ma non ho visto nessun altro cogliere quel momento”. Questione di fortuna, ma anche di grande sensibilità, passione, bravura professionale.
Il volume è quindi un susseguirsi di immagini che non ritraggono l’elemento umano, ma rendono omaggio, come sottolinea l’autore, ai palazzi e ai luoghi che rappresentano l’ingegno, la fatica, il sudore degli uomini che li hanno creati. “Vivere lontano dalla mia città, mi ha lasciato la voglia di riscoprirla. Fino a quando si vive quotidianamente ci si abitua alla sua bellezza. Vivendo invece fuori e rientrando ogni tanto, ci si rende conto della bellezza dei lungarni, delle luci e anche della torre, tanto usurata, ma, in realtà, spettacolare”.
Parola di Archistar.