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Intervista a Ubaldo Bocci, candidato sindaco di Firenze

- Interviste, Politica
4 Maggio 2019

Per una giornata intera abbiamo seguito gli spostamenti di Ubaldo Bocci, candidato sindaco di Firenze del centrodestra. A pochi giorni dalle elezioni volevamo toccare con mano i problemi, le speranze e le paure dei cittadini. In una Firenze che è divisa in due: la “cartolina” lucida e splendente, a uso e consumo dei turisti, e il resto della città, abbandonata a se stessa, con tante aree degradate e i cittadini che reclamano più sicurezza (e non solo). Bocci ha le idee chiare su cosa bisogna fare. Ce lo racconta in questa intervista che gli abbiamo fatto tra un incontro e l’altro, durante una pausa pranzo. GUARDA L’INTERVISTA (Parte 1: “La Firenze che ho in mente” / Parte 2: Il manager, l’umanista, la persona /Parte 3: “La città può davvero cambiare” / Versione intergrale).

– Abbiamo cercato di intervistare Dario Nardella, che si presenta per un secondo mandato come sindaco di Firenze. Purtroppo non ci ha ancora concesso questa opportunità –

Ubaldo Bocci, qual è la Firenze che ha in mente?
Una Firenze viva, che guarda al futuro, che non vive di rendita presentata come una bella vetrina da vendere ai turisti. Una Firenze attiva, che faccia sprigionare la grandissima ricchezza e capacità intellettuale e produttiva dei fiorentini. Una Firenze piena di energia, incontenibile, perché è Firenze, non è un’altra cosa, è Firenze.

Come vede oggi la sua città?
È  una delle città più belle del mondo, il più grande museo a cielo aperto. Ma per come è amministrata da imprenditore dico che è come se uno avesse una Ferrari ma andasse in seconda. Per carità, puoi farlo, ma avere un bolide e usare solo due marce, quando ne hai a disposizione almeno altre quattro, trovo sia un paradosso.

A chi si rivolge il suo messaggio? La risposta per certi versi è scontata: a tutti i cittadini. Ma in particolare punta sugli scontenti?
No. Il voto dello scontento è sempre un voto contro. Io non vado a cercare i voti contro ma i voti per. Che poi a Firenze ci siano tanti scontenti è sotto gli occhi di tutti, però trovo che sia una politica limitata fare una campagna elettorale contro qualcuno. È una partita in cui si gioca facendo proposte per migliorare. È facile fare una campagna elettorale con l’elenco delle cose che non vanno. Io voglio essere più propositivo e immaginare come vorrei la città di domani.
Le vecchie divisioni ideologiche non hanno più molto senso. A Firenze c’è un mondo, un salotto dorato, fatto di 60 anni di rapporti, diciamo così, particolari, e tutta un’altra parte del mondo che viceversa rincorre…

Lei ha iniziato la sua campagna elettorale da una zona periferica, l’Isolotto, perché?
Firenze è una città vetrina, fatta da un quadrilatero, Piazza della Signoria, Duomo, Santa Croce e San Lorenzo, e pochissime altre zone limitrofe. Oggi siamo andati a passeggiare in via Palazzuolo, che avrebbe dovuto essere una delle vie modello di altri programmi elettorali, a meno di 500 metri da una zona molto bella, dove c’è il consolato americano: è una tragedia da un punto di vista del decoro e della sicurezza. L’idea è che ci siano due Firenze: una, che l’amministrazione ha cercato di vendere come vetrina a tutto il mondo, e l’altra abbandonata a se stessa. Qualcuno ha fatto lo slogan ‘voglio portare le periferie al centro’. Io desidero fare esattamente l’opposto, portare il centro nelle periferie, dove ci sono le maggiori situazioni di disagio.

Quali sono i difetti più grandi che vede oggi a Firenze e dove vorrebbe intervenire per cambiare le cose?
La mancanza di una visione, assolutamente. Si fanno le cose giorno per giorno rincorrendo l’emergenza. In questa città manca una prospettiva. Firenze è una sorta di monarchia dove il potere si tramanda di generazione in generazione, e quindi ci si assuefà al potere. Si governa con pigrizia, con consuetudine, con routine, mettendo la polvere sotto i tappeti. L’alternanza, la novità, non è soltanto uno slogan. Qualsiasi realtà per ritrovare energia ha bisogno di essere rinnovata. L’alternanza è veramente il sale della democrazia.

Il tema sicurezza è una priorità?
La sicurezza è solo un effetto. Il mancato decoro provoca insicurezza, la mancata gestione degli spazi pubblici provoca insicurezza, l’abbandono di tanti immobili importanti, anche del Comune, provoca insicurezza. Poi veniamo ai presidi per la sicurezza, come ad esempio i vigili di quartiere, di cui si parla spesso, mi piacerebbe creare dei presidi mobili ma anche fissi, in alcune zone della città. Se, come dice il Prefetto, questa città ha ben diciassette zone rosse, vuol dire che si è arrivati a un punto in cui la gestione della sicurezza, non è un fatto marginale o temporale. Non è un fatto che dipende solo dalle forze dell’ordine. C’è qualcosa che manca nella gestione della città. Non è la telecamera che fa la differenza. Può servire ma da sola non basta… non è mettendo settecento telecamere che ottengo più sicurezza.

La sua campagna elettorale ha uno slogan?
Abbiamo fatto un bellissimo incontro, mettendo insieme tutti i candidati di tutti i consigli di quartiere e in consiglio comunale, si è ritrovata insieme. Più di quattrocento persone che ci hanno messo la faccia… lo slogan era “Ora Firenze”. Da cosa nasce? Che si debba cambiare è un refrain continuo. Oggi come non mai c’è la possibilità di farlo questo cambiamento. È un’occasione che non possiamo permetterci di perdere.

Lei ha detto che per governare una città “non ci si può basare solo sulla cartolina”. Che vuol dire?
La rincorsa di chi ha amministrato fino ad ora è stata fatta molto più al taglio dei nastri che non ad affrontare certe problematiche. C’è una Firenze rinchiusa in un quadrilatero in pieno centro, e poi c’è l’altra Firenze, e l’abbiamo visto andando nelle vie limitrofe al centro, alle zone super eleganti. Saremo a cinquecento metri di distanza ma sembrano due città diverse. Non è pensabile fare la Firenze cartolina, immagine da vendere al mondo… può essere un’operazione di marketing, ma anche su questo potremmo approfondire, ma poi c’è il resto. I famosi 14 milioni di turisti che vengono, creano ricchezza a Firenze e danno veramente valore aggiunto alla città? Se vuoi gestire un Comune non puoi non tenere conto di queste cose. Non ci sono bacchette magiche, però se noi sappiamo che su 14 milioni di turisti
pernottano 4 milioni, immaginando che 2 possano vivere nei paesi vicini e poi mangiare al ristorante, la maggioranza è fatta da persone che arriva alle dieci di mattina e riparte alle 4 del pomeriggio e non lascia ricchezza alla città. Se Firenze è un museo a cielo aperto, ciò comporta dei costi, e anche chi si gode delle bellezze della città, che hanno dei costi, dobbiamo trovare il verso affinché ognuno contribuisca non solo al benessere del quadrilatero del pieno centro ma di tutta la città.

A proposito di turismo. A Firenze si parla di numeri importanti…
Nel centro storico ci sono diciassette-diciottomila residenti, ma la zona è “vissuta” da un numero enormemente più grande di persone, basti pensare che ogni anno 14 milioni di turisti vengono a Firenze, di cui 13 milioni almeno passano da Piazza della Signoria e Piazza del Duomo…

Cosa mi dice dei B&b?
Sono un’ottima cosa, ma bisogna guardare alle regole, che devono essere chiare e semplici, e noi dobbiamo sburocratizzare il sistema e rendere tutto più semplice per chi fa impresa e lavoro. Però anche i B&b sembra che ce ne siano 4500 e forse altrettanti irregolari… Viva il B&B ma a regole chiare, condizioni chiare, tutti devono pagare la tassa di soggiorno, rispettare le norme igieniche e sanitarie. L’iniziativa di chi fa impresa è sempre buona, ma le regole devono essere uguali per tutti.

“Tornerò a prendere una sella”, ha detto a un negoziante che vende bici in via Palazzuolo, dopo essersi informato sui clienti tipo, bici tradizionali ed elettriche, e quote di mercato portate via da Amazon. Cosa voleva sapere?
Quando vado a incontrare chi ha un’attività cerco nei limiti del possibile di informarmi su come va l’attività stessa. C’è un interesse reale. Credo che se non si va a fondo alle cose, sia pure in poco tempo, si sente. Bisogna ascoltare e capire i problemi.

La sua esperienza all’Unitalsi è apprezzata da tutti. Ci può raccontare come iniziò?
Andando per caso una volta a Lourdes, avevo 17 anni. Un caro amico mi disse “vieni a Lourdes”… avrebbe potuto dire vieni in un altro posto. Ha cambiato il senso della mia vita, ogni scelta da quel momento in po’ è stata legata all’esperienza di Lourdes, che è stata un’esperienza straordinaria non solo di fede ma anche di servizio. Quello che ho imparato è che non si va lì per stare con qualcuno ma si sta lì con qualcuno, perché è la persona al centro del rapporto. Non c’è la persona disabile e la persona abile, c’è la persona, ognuna delle quali arricchisce l’altro.

Il giorno della sua presentazione a Firenze Renzi si è arrabbiato con Salvini, dicendogli di “sciacquarsi la bocca quando parla di Firenze, città dell’accoglienza”. Lei come la vede?
È una renzata. Tutto va fatto con le regole, anche l’accoglienza. Il diritto e il dovere sono le due facce della stessa medaglia. Non c’è diritto senza doveri e non ci sono doveri senza diritti. Nella chiarezza delle regole ci si muove con grande rispetto e con grandi possibilità anche di accoglienza. Non è che il nostro può essere il posto dove siamo in grado di accogliere tutti. Le faccio un esempio: se lei avesse un’azienda con 100 dipendenti e fa un bilancio con 100 dipendenti, e un certo momento si dovesse ritrovare ad avere 200 dipendenti con un fatturato da 100 dipendenti, quanto durerebbe la sua azienda? Alla fine si rischia di creare una guerra tra poveri. Alle case popolari c’è una guerra tra italiani che non hanno la possibilità e allo stesso tempo avrebbero diritto di accedere… Se un italiano che lavora ed ha uno stipendio ma, con tre figli, fatica ad arrivare a fine mese, si vede scavalcato da un immigrato che invece di figli ne ha sei. Si ha quando si crea il disagio sociale è l’inizio di una situazione che può diventare molto drammatica. Il fallimento della politica immigratoria francese è l’esempio.

Guardando il suo cv si scopre che lei è un “self made man”, che se non sbaglio iniziò come fattorino… ci racconta come andò e quali sono stati i suoi primi lavori?
Vivevo in una famiglia normale, padre, madre e un fratello. All’epoca si finiva la scuola a giugno e si ricominciava ad ottobre. I miei mi avevano insegnato che si poteva dedicare del tempo a lavorare: un po’ per imparare, un po’ per guadagnare dei soldi e pagarsi le vacanze. Questa è una cosa che ho sempre fatto fin da ragazzino. A diciannove anni, finita la Maturità, cominciai a lavorare perché faceva comodo in casa. Cominciai da fattorino. Ma sono sicuro che questa sia stata una grande fortuna: è soltanto quando conosci l’ultimo gradino che puoi godere se poi cresci. Se vieni catapultato direttamente in cima e ti manca tutto il passaggio, secondo me è più difficile. Ho fatto anche il benzinaio,
sono andato a pulire gli uffici, ho fatto il pellettiere. Sono tutte esperienze che ti arricchiscono.

Qual è il difetto maggiore del suo rivale, il sindaco Dario Nardella?
In questi anni di amministrazione l’ho visto tante, troppe volte indeciso. Mi avrebbe fatto piacere, che soprattutto sulle decisioni importanti, prendesse posizione in modo più definito. Invece si è portato avanti su certe scelte e poi invece è tornato indietro.

E il più grande difetto dei fiorentini?
È il più grande pregio, essere fiorentini. Se dovessi pensare a una frase che rappresenti i fiorentini, penserei a quella famosa pronunciata da Pier Capponi a re Carlo VIII (per annunciare l’intenzione della città di resistere davanti all’esercito francese, ndr): “Che loro suonino le loro trombe, noi faremo suonare le nostre campane”. Questo è il fiorentino.

Ho letto che lei si è avvicinato alla politica da ragazzino, quando difese un suo compagno di scuola, che era aggredito. Ci può raccontare quel momento?
Gli chiesi, perché a scuola (al liceo) nessuno ti ha dato una mano? Lui mi rispose: “Perché in questa scuola ero l’unico di destra. Preso dall’incoscienza, dal’entusiasmo e dalla voglia di fare… Rimasi turbato per questa profonda ingiustizia.

Appena è circolato il suo nome sui giornali, come possibile candidato, è spuntata una vecchia foto con Renzi. Ci può ricordare in quale contesto era (Expo a Milano) e quali rapporti ha avuto con l’ex premier?
Ho conosciuto l’ex sindaco di Firenze in tre occasioni distinte. Nel 2015 l’Unitalsi decise di accompagnare oltre duemila persone, tra disabili e familiari, a visitare l’Expo. Chiesi, parlando con la segreteria della Presidenza del Consiglio, dicendo una data…. la segreteria mi disse che in quella data c’era il del Consiglio. Renzi visitò l’Expo, fece i suoi giri e poi venne ad incontrare anche Unitalsi nello spazio che ci ospitava. Era il minimo che gli dessi il benvenuto. Nell’estate del 2016 lo incontrai di nuovo al Caffè della Versiliana. L’ultima volta, invece, l’ho incontrato a Palazzo Chigi perché, insieme ad altre 12 associazioni di volontariato andammo a chiedere spiegazioni sulla ‘Legge dopo di noi’
(sulla vita delle persone con disabilità severa dopo la scomparsa dei genitori o dei familiari più vicini, ndr). Così come non ho nessun tipo di difficoltà a dire che Nardella cinque anni fa fu ospite a casa mia, in campagna elettorale. Ma non lo invitai per sostenerlo, lo feci perché, sempre in veste di responsabile dell’associazione, volevo conoscere le sue proposte di politica sociale. Nella mia vita una delle cose che non ho mai cambiato è la mia collocazione politica: sono sempre stato un uomo di centrodestra e mi piace pensare che morirò come uomo di centrodestra.

Renzi cita di continuo Giorgio La Pira, sindaco di Firenze dal 1951 al 1957 e dal 1961 al 1965. Secondo lei che sindaco è stato?
Il fatto stesso che sia, come si diceva una volta, in odore di santità, indubbiamente è stato una figura più che nobile per la città. E’ stato un uomo che ha avuto una visione molto lungimirante, non solo della sua città ma anche di tutto il mondo che lo circondava. Fa parte di una generazione che viveva più da statista che da politico. E’ stato un uomo di grande visione, importante per Firenze. Ma oggi è inutile continuare a dire che è stato un grande… e che tutti vadano a tirare la giacca ai padri nobili. A te che sei stato sindaco per dieci anni, direttamente o indirettamente, tramite la persona che hai nominato, chiedo questo: dov’è la politica lapiriana della tua amministrazione?

Nardella di recente ha inaugurato l’ampliamento del percorso del tram. Lei ha detto che bisognava pensare anche alla viabilità e ai parcheggi… ci può spiegare meglio questo aspetto?
Prima di tutto vorrei sottolineare che lei, abituato a dare alle cose il suo nome, ha chiamato tram quello che è un tram, noi chiamiamo tramvia quello che è un treno che passa per la città. Il problema della mobilità è sicuramente uno dei tre problemi legati uno all’altro: la mobilità, la viabilità e i parcheggi. Se io immagino a risolvere il problema della mobilità, cosa legittima, ma contemporaneamente non penso alla viabilità e ai parcheggi, faccio più danni che benefici. Mi spiego meglio: oggi si parla di un 10% di fiorentini che usano il tram. C’è un 90% che continua ad andare in automobile.  È vero che bisognerebbe utilizzare di più la tramvia, ma per chi ha certi tipi di attività la tramvia non è la panacea. Per realizzarla si è più che dimezzata la sede stradale. Il traffico ne ha subito un danno. In più per fare la
tramvia si sono dovuti utilizzare degli spazi che fino a ieri erano adibiti a parcheggi. Ma queste persone che vivono nella zona della tramvia, dove le mettono le auto. Vede, il problema non è tramvia sì o tramvia no, è un problema di mancanza visione. È come se volessimo garantire che la mano funziona, ma dopo la mano c’è il polso, poi c’è il gomito. Una città non si può immaginare divisa a pezzetti.

Per quale squadra di calcio tifa?
Da sempre per la Fiorentina.

Qual è il giocatore che più le è rimasto nel cuore?
Ce ne sono due: Antognoni, campione di assoluta eleganza e visione di gioco. E Iachini, giocatore con un grandissimo cuore e grandi polmoni. Una squadra dovrebbe sempre avere un giocatore come lui. Sono giocatori che fanno la differenza, come dice Ligabue nella canzone “Una vita da mediano”.

Qual è il suo primo ricordo di Firenze quando era bambino?
Probabilmente l’Arno, un Arno molto diverso da oggi. Da ragazzino mi ricordo che andavo a giocare a pallone nella piazzetta vicino a casa mia. Le corse in bicicletta con delle cadute straordinarie, non c’era giorno che non tornassi a casa con delle ginocchia sbucciate. Questa è la Firenze che mi sono goduto 55 anni fa.

Le piace cucinare? Il suo piatto preferito?
Se lei mi chiede se sono capace le dico no. In caso di necessità provo anche a cucinare. Non potrei mai andare a MasterChef. Mi piace tantissimo vedere i cuochi, le trasmissioni sui ristoranti, però avrei difficoltà a preparare un sugo dignitoso. La bistecca, che voi chiamate fiorentina ma per noi è la bistecca. Poi mi piacciono molto i primi, i risotti, le tagliatelle, i tagliolini… gli spaghetti. Non sono un vegano duro e puro (sorride).

La vacanza più bella che ha fatto?
Tre anni fa, in Sardegna, con tutta la mia famiglia, i cognati, mia suocera, i miei nipoti. Eravamo una quindicina, forse di più, tutti insieme. Era la festa della comunità… forse perché siamo stati solo una settimana (ride).

Se non avesse fatto il manager che mestiere avrebbe desiderato fare?
Nonostante il manager possa essere legato molto più ai numeri che non altro, io mi sento più un umanista. Se ho avuto delle soddisfazioni da manager è stato perché ho sempre cercato di ragionare venendo quello che ci poteva essere al di là del muro. Poi ho sempre avuto dei meravigliosi collaboratori, che sono riusciti a calare nella realtà idee che magari potevano essere considerate folli, che poi sono state costruite e sviluppate con grande successo.

Come si vede tra dieci anni?
Mi auguro in salute, da nonno che si gode i suoi nipotini e si ricorderà quando dieci anni fa corse per diventare sindaco e scrisse un pezzo di storia di Firenze perché fu il primo sindaco a portare il centrodestra a Palazzo Vecchio.

GUARDA L’INTERVISTA INTEGRALE A UBALDO BOCCI

 

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