Ilaria Clara Urciuoli

Alcune mostre di Palazzo Strozzi sono in sé duplici mostre in cui a contendersi l’attenzione sono l’osservazione delle opere esposte e la reazione stessa che i visitatori hanno nel guardarle. In questa monografica su Anish Kapoor, che occuperà le sale del piano nobile e il cortile fino al prossimo 4 febbraio, il pubblico non è coautore dell’opera ma nemmeno passivo fruitore e in questa interazione, in questa partecipazione, in questo ritrovato stupore figlio di un ascolto che nasce spontaneo davanti all’opera troviamo il sigillo di una vittoria che coinvolge tanto l’artista quanto Arturo Galansino, direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi che della mostra firma la curatela.

Anish Kapoor. Untrue Unreal” è sicuramente un’esposizione generosa, non tanto per il numero di pezzi quanto per l’ampia varietà di stimoli che offre e per la non ripetitività delle proposte e delle tecniche presentate: l’artista spazia unendo pittura e scultura, pigmenti e cera, superfici riflettenti e un Vantablack capace di assorbire ogni luce, muovendosi così tra realtà e misticismo, tra materia e anelito.

Anish Kapoor si rivela ancora una volta maestro nell’accompagnarci per mano lungo una varietà di sensazioni e di riflessioni: la violenza della carne, cui siamo ricondotti nell’osservare le sculture in cera rossa, ci pone davanti all’ambiguità del corpo che risulta essere tanto schiacciato dalla materialità e dalle sue regole ferree e intransigenti, quanto magico nella sua genesi e capacità di generare.

Se l’uso dei pigmenti è portatore di pienezza o di lievità anche superando o modificando le forme stesse, è utilizzando il Vantablack che Kapoor ci ipnotizza: proprio in virtù della mancanza di ogni riflesso sulla superficie gli oggetti perdono la loro natura tridimensionale e diventano trappola in cui l’io cerca di orientarsi. Vuoto e pieno non sono più categorie e nemmeno lo sono concavo e convesso, appiattiti in un continuum materico che non ha via di fuga. Questo disorientamento interessa improvvisamente anche l’io osservante che, privato delle certezze offerte dalla vista, prova a comprendere prima forzando la realtà (molti i visitatori fermati nel momento in cui si preparavano ad illuminare quel nero fatto di nanotubi di carbonio con le torce del cellulare), poi ruotando intorno all’oggetto o facendo affidamento al ritorno delle onde acustiche, infine arrendendosi tra lo stupito e il confuso.

Altro momento di forte partecipazione del pubblico è nella sala con le opere in acciaio dalla superficie specchiante. Siamo forse un po’ abituati (anche per le stesse scelte di Palazzo Strozzi) a queste superfici e ai suoi effetti deformanti, eppure i risultati cui giunge Kapoor non si esauriscono né in un rapido sguardo né in un sorriso giocoso. Anche in questa sala apparenza, disorientamento, complessità e desiderio di comprendere il reale e le sue regole smuovono le coscienze attraverso una visione d’insieme da ricomporre per ricordare, una volta fuori, l’inganno in quegli spazi svelato.

Ilaria Clara Urciuoli

Foto: ©photoElaBialkowskaOKNOstudio

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