Ilaria Clara Urciuoli

Palazzo Strozzi inaugura una stagione estiva all’insegna del monumentale. Ad esporre nello storico palazzo della famiglia che tentò di contrapporsi ai Medici è un artista sino-francese (“ma prima di tutto un artista”, ama precisare lui), Yan Pei-Ming, che vede qui realizzarsi la più grande monografica italiana a lui dedicata grazie alle oltre trenta tele esposte, quasi tutte di grandi dimensioni. La mostra, curata dal direttore di Palazzo Strozzi Arturo Galansino e visitabile fino al 3 settembre, ci permette di conoscere l’intensità espressiva di un pittore che si muove su più direttrici: camminando tra le otto sale (e due salette) del percorso troveremo autoritratti e ritratti, paesaggi, reinterpretazioni di grandi opere della storia dell’arte e di copertine di giornali. E proprio da questo incrocio di storie (dell’arte, dell’umanità e personale) prende il titolo la mostra: “Yan Pei-Ming. Pittore di storie”.

L’artista sembra, attraverso la pittura, esplorare e riproporci un suo mondo non solo privato: i due trittici, variazioni sul tema di due copertine del “Time”, ci ripresentano i protagonisti del recente dramma internazionale (Putin e Zelensky), ma troviamo anche immagini relative a una storia più datata e molto italiana (gli omicidi di Pier Paolo Pasolini e di Aldo Moro), e ancora scopriamo riletture di opere dove storia e potere si fondono nei colori di grandi artisti come Jacques-Louis David, Francisco Goya e Diego Velázquez. Yan Pei-Ming raggiunge la massima intensità nel confrontarsi con il proprio mondo privato, in tele che anche grazie al loro formato si caricano di una drammaticità ben evidente nella pennellata ampia e veloce, nell’uso al proprio interno della monocromia (dominante nelle sue opere), di toni cupi o di bianchi che si rivelano non rasserenanti ma che sembrano evidenziare la mancanza, l’assenza. Tra queste pitture spiccano i ritratti dei genitori, con il loro carico di semplicità, di pietas, di un’intensità frutto di pose naturali, ed gli autoritratti, come quello in cui si ritrae morto in una tela di 4×4 metri che rientra, insieme al ritratto del padre sul letto d’ospedale e ad altre tre tele più vicine all’opera di Leonardo, nel gruppo intitolato I funerali di Monna Lisa.

Yan Pei-Ming Photographie : Marie Clérin © Yan Pei-Ming, ADAGP, Paris, 2023

Ad aprire il percorso di Palazzo Strozzi un altro trittico, una crocifissione che è insieme autoritratto: le grandi tele che sovrastano lo spettatore mostrano Yan Pei-Ming nei panni (più moderni) non solo di Gesù ma anche dei due ladroni, in quella che sembra una trasposizione della ambivalente natura umana. Non meno denso si dimostra l’artista nei paesaggi, tanto quelli cupi quanto quelli più paradisiaci ma comunque poco rassicuranti per l’indefinitezza che caratterizza gli spazi. Sebbene affermi “I miei paesaggi sono di una banalità spaventosa, non ci succede nulla, assomigliano a tutto e a niente”, anche in quelle opere troviamo una visione del mondo degna di un’artista. Colpisce in particolare A Est dell’Eden con il suo ampio immaginario di macabra eppure naturale violenza.

Tra i diversi temi che l’osservatore può trovare ha una sua rilevanza quello delle origini, riproposte in più momenti ma dominanti nelle raffigurazioni del Buddha e di Mao che iniziò la rivoluzione culturale quando Yan aveva sei anni e che dominerà la ritrattistica cinese. Proprio da qui dunque vogliamo partire con le nostre domande.

Cosa rappresentano per lei e per la sua pittura le sue origini? Quali paesaggi, luci, colori ha introiettato in quei primi venti anni di vita?
“Non posso sfuggire alle mie origini. Proprio come il mio viso o il mio nome, le mie origini non cambiano. Sono qui, in questo mondo, e le accetto. Tuttavia, è la mia pittura che cambia. Prima dei 20 anni, ho vissuto a Shanghai, ma andavo regolarmente dai miei nonni in campagna. Direi che la luce introiettata all’epoca era la luce della natura…”

Leggendo le indicazioni biografiche mi ha molto suggestionato la sua nascita in un tempio e mi sono chiesta cosa abbia significato per la sua famiglia e quindi per lei che era molto piccolo la spinta imposta da Mao verso la laicità. Colpisce inoltre la presenza nella sua produzione artistica di diverse crocifissioni, non per ultima la sua (in Nom d’un chien I). Se non ricordo male lei si professa ateo. Ci vuole raccontare qualcosa della sua spiritualità?
“Era un piccolo tempio sconsacrato in cui sono nato. Non aveva più la funzione di tempio e una decina di famiglie vi abitava. Conoscevo le diverse stanze, la sala delle preghiere, ecc. Ovviamente, quando si nasce e si vive in un vecchio tempio, si assorbe inevitabilmente un’atmosfera particolare. Sono cresciuto con questa spiritualità. Tuttavia, quando affronto argomenti come la crocifissione, ad esempio in Nom d’un chien! Un jour parfait, c’è un’ambiguità perché mi ritrovo sul dipinto senza la croce. Non si sa se sto scendendo all’inferno o salendo in cielo. Nel complesso, sono più interessato alla vita quotidiana e alla pittura storica che alla spiritualità”.

Lei scrive: “Il ritratto è come uno specchio, riflette chi siamo, cosa siamo”. Come è stato dipingersi morto e cosa prova guardando quel ritratto? La sua ossessione per la morte corrisponde a uno slancio vitale, è legato al suo forte desiderio di vita o a una paura per ciò che potrebbe esserci o ancora di più non esserci?
“Quando guardo questo ritratto, so di fingere di essere morto. Ho paura della morte, ma ciò di cui ho più paura è smettere di vivere. Sono qui nel mondo, ho sempre voglia di continuare a vivere… Penso che dopo la morte non ci sia più nulla. Spero che dopo la mia morte le mie opere d’arte continuino a vivere…”

A Palazzo Strozzi la vediamo in un dialogo molto stretto con opere celebri della storia dell’arte occidentale. Come sceglie i quadri con i quali confrontarsi? C’è un tema o un messaggio che la guida?
“Le ragioni sono molto diverse tra loro. Ad esempio, nel 2009 ho scelto la Monna Lisa perché stavo preparando una mostra al Museo del Louvre. La Monna Lisa è un’icona della storia dell’arte, ed è in qualche modo la donna più famosa al mondo. Per quanto riguarda Marat, Papa Innocenzo X, l’Esecuzione, dopo Goya ecc., quelli sono soggetti imprescindibili nella nostra storia dell’arte. Sono guidato dalla pittura”.

Troviamo nel percorso opere legate a episodi della nostra storia: se Hitler e Mussolini sono due personaggi che hanno segnato tragicamente la prima parte del Novecento internazionale, mi ha molto sorpreso vedere la tela sull’omicidio Moro e ancora di più quella sull’omicidio di Pasolini, dipinti rispettivamente nel 2017 e nel 2023. Sono opere nate per il pubblico italiano? Cosa rappresentano per lei questi due momenti di storia italiana?
“Aldo Moro è stato realizzato prima che l’esposizione al Palazzo Strozzi fosse programmata. Per completare la sala, ho aggiunto l’assassinio di Pasolini. Sono due casi pieni di mistero. Faccio una constatazione, una pausa sull’immagine basata sulle foto di stampa che trasformo in pittura. Pongo una domanda, senza avere una risposta. Hitler e Mussolini sono le due figure di spicco della Seconda Guerra Mondiale. Questa è la storia della prima metà del XX secolo. La storia, tutti la conoscono attraverso i manuali scolastici. Queste opere non sono destinate solo a un pubblico italiano, ma al pubblico in generale. La pittura ha una propria vita, indipendente. Vive”.

Tra i temi che troviamo in mostra c’è anche quello del potere: Putin, Zelensky, Mao, Innocenzo X, Napoleone. Cosa rappresenta per lei il potere? C’è una relazione tra questo e la sua tela “A Est dell’Eden”? O questa ha a che fare più in generale con l’umanità (e la sua natura)?
“Il trittico Vladimir Putin, Zar della Nuova Russia (2008) è stato realizzato quando ho visto la copertina del Time del 2007 ‘Person of the Year’. A Palazzo Strozzi, ci sono due piccole sale comunicanti. Avevo il desiderio di esporre quest’opera, ma non avevo una ragione specifica per farlo. Quando ho visto anche Zelensky sulla copertina del Time nel 2022 ‘Person of the Year’ ho capito come due opere potessero confrontarsi: due copertine del Time a distanza di diversi anni, che non hanno la stessa significatività. In questo modo pongo una domanda allo spettatore, lo mostro e poi spetta a loro reagire. Il Potere, per me, non esiste eternamente. È sempre effimero. È questo che mi interessa. È come l’uomo: non siamo mai eterni”.

Lei ha affidato il suo presente di artista alla pittura, un genere che nel contemporaneo sembra aver perso vigore agli occhi dei suoi colleghi artisti che spesso cercano strade diverse di espressione, strade talvolta meno immediate per il pubblico, più cerebrali. Cosa pensa di questa situazione? Quanto secondo lei l’arte deve essere comunicativa?
“Quando ho iniziato a dipingere, la pittura figurativa non era affatto di moda. All’epoca, prevaleva piuttosto la pittura concettuale, geometrica e minimalista. Oggi la pittura figurativa sta tornando in primo piano sulla scena internazionale, e io ne sono uno dei pilastri. Tutte le forme d’arte sono comunicative e dipendono da ciò che l’artista ha voluto dire”.

Immagino che per un giovane d’oggi la sua storia sia una fonte di speranza: figlio di una Cina semplice (suo padre lavorava per sfamare la famiglia) a vent’anni lasciò il suo paese e si trasferì in Francia dove per vivere ha lavorato in un ristorante. Ma ha continuato a coltivare il suo sogno, si è impegnato fino a realizzarlo, ottenendo enormi riconoscimenti. Quali sono secondo lei gli ingredienti che hanno portato al suo successo come artista?
“La convinzione, la fiducia in me stesso, l’amore per la nostra umanità, l’amore per la pittura. Con il mio cumulo di esperienze, offro qualcosa da vedere attraverso la mia pittura. Tuttavia, non ho mai sentito di aver avuto successo. Durante le mie mostre, sento di aver avuto un po’ di successo, ma il giorno dopo l’inaugurazione è come se ricominciassi da zero. È un istante di successo effimero, circondato dalla mia famiglia, dai miei amici, dalle persone che amo.”

Le tele di grande formato suggestionano molto lo spettatore. Lei perché sceglie di usare tele di grandi dimensioni?
“Voglio che lo spettatore possa entrare fisicamente e moralmente nella pittura, perché parlo di emozioni e sentimenti. Volevo grandi formati per dominare lo spazio del Palazzo Strozzi. I grandi formati si accordano perfettamente con le pareti e l’altezza. Non sono mai avaro quando si tratta di mostrare la mia pittura”.

Il mondo dell’arte non è semplice. Cosa consiglierebbe da padre o da maestro a un giovane che ambisce ad entrare in quel mondo?
“Che si tratti di pittura, cinema, teatro, scrittura, musica e così via, nessuna professione artistica è semplice. Tutto dipende dall’epoca, dalle circostanze. Prima di tutto, bisogna credere in se stessi. Bisogna essere anche un po’ testardi. E soprattutto bisogna sapere perfettamente ciò che si sta facendo e ciò che si vuole fare. Tutto è collegato: per creare è necessaria passione, pazienza e la disponibilità a dedicarvi la propria vita. Non è dato a tutti, ma è possibile riuscirci”.

Ilaria Clara Urciuoli

Foto: Ela Bialkowska, OKNO Studio

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