Ilaria Clara Urciuoli

Una mostra che abbraccia storia e memoria, ma anche giustizia (quella fatta nelle aule dei tribunali come quella fatta attraverso il ricordo e la sensibilizzazione): così si presenta “Nonostante il lungo tempo trascorso”, il progetto espositivo giunto a Firenze, a Palazzo Strozzi Sacrati, dopo aver toccato Roma e La Spezia e inaugurato ieri alla presenza delle più alte cariche militari e del presidente della Giunta regionale Eugenio Giani, progetto che ripercorre le stragi nazifasciste compiute all’indomani dell’armistizio ai danni di militari e civili italiani, sul territorio nazionale e non. A curarla Marcello de Paolis, procuratore militare che a lungo ha lavorato per ricostruire le responsabilità di quelle stragi.

8 settembre 1943 – 25 aprile 1945: questi i riferimenti cronologici dell’evento, sebbene le ritorsioni contro gli italiani fossero iniziate già prima della firma dell’armistizio e non si siano concluse con la data simbolica della Liberazione. Altre ancora sono tuttavia le date degne di nota dalle quali non si può prescindere nel viaggio raccontato lungo le pareti delle sale. In particolare vanno ricordati due anni della nostra Repubblica, il 1960 e il 1994: un arco temporale di ben 34 anni separa la data della chiusura da quella dell’apertura dell’armadio (noto come “armadio della vergona”) dove vennero archiviati e lentamente dimenticati i 695 fascicoli giudiziari relativi alle stragi oggetto della mostra.

Fino a quel momento la giustizia aveva visto due Tribunali Militari Internazionali (quello di Norimberga e Tokyo istituiti nel 1946) impegnati nel punire i crimini di guerra dei paesi dell’Asse e dell’Estremo Oriente e in Italia l’istituzione di una quindicina di processi tra cui quelli a Kappler (per le Fosse Ardeatine), a Reder (per le oltre 1300 vittime dell’eccidio di Marzabotto-Monte Sole ed altre località tra Massa e Lucca), a Schmalz (per l’eccidio di Civitella Val di Chiana), a Strauch (per quanto avvenne a Padule di Fucecchio), e a Wagener (che maltrattò e uccise alcuni prigionieri di guerra italiani in Grecia).

Con questi procedimenti si concluse la stagione della chiarezza e della responsabilità e così arriviamo al 1960, quando l’allora procuratore generale militare archiviò, con un procedimento illegittimo, i vari fascicoli. Quel procedimento, al quale si deve il titolo del progetto espositivo, spiegava come poiché, nonostante il lungo tempo trascorso dalla data del fatto anzidetto, non si sono avute notizie utili per la identificazione dei loro autori e per l’accertamento delle responsabilità, ordina la provvisoria archiviazione degli atti.

Una seconda stagione giudiziaria si aprì e si chiuse a seguito del ritrovamento di quei documenti: vennero celebrati altri 5 processi ai quali seguirono altri anni di silenzio che portarono però all’intensa attività della procura militare di La Spezia che, a partire dal 2002, si dedicò a nuove indagini e avviò nuovi processi (ben 15 tra cui quello per le stragi di S. Anna di Stazzema).

Ed ecco allora che nonostante il lungo tempo trascorso una giustizia forse ancora limitata è fatta: ma il valore di quei processi fu anche altro, soprattutto perché lì si affermò un principio fondamentale: la colpevolezza del militare che esegue gli ordini quando gli ordini sono manifestatamente criminosi ancor più se questi ordini prevedono che vengano commessi atti violenti verso uomini inoffensivi, donne e bambini.

Ma da questa pagina finale, che si svolge nelle aule dei tribunali, è fondamentale tornare indietro nella storia e nel percorso espositivo. Pannelli, video, oggetti e documenti originali insieme a schermi interattivi permettono di aprire finestre e indagare ciò che accadde, i crimini di guerra compiuti dalle truppe tedesche ma anche da fascisti sui militari e sui civili italiani, toccando quindi anche il tema delle deportazioni. Un quadro tragico che ci mostra la natura umana in tutta la sua fragilità e tragicità (come dimenticare la direttiva emanata da Kesselring nel ’44 che prevedeva l’impunità per le azioni compiute dai soldati tedeschi nella repressione antipartigiana?).

Ed allora è dovere di tutti vedere cosa significò e cosa potrebbe significare ancora, in un mondo che, con poca originalità, ripete le sue dinamiche con attori diversi e su palchi diversi ma con la stessa portata di atrocità. Ed allora è dovere di tutti riflettere, come da tempo siamo invitati a fare, sul valore della democrazia, sulla difficoltà che questa incontra nel nostro presente e su quale sia il nostro ruolo di cittadini.

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