Ilaria Clara Urciuoli

Voce significativa del panorama italiano, da tempo impegnato nel teatro civile, che lo ha visto lavorare su casi come quelli di Cucchi, Welby, Casalegno, oggi Ugo de Vita si confronta con la realtà della guerra e lo fa attraverso la lettura di uno dei testi più conosciuti della narrativa italiana, il Pinocchio di Collodi. Una lettura in doppia lingua, italiana e ucraina, del trentacinquesimo capitolo è il fulcro e lo spunto per il nuovo lavoro presentato nella Sala delle Esposizioni della Presidenza della Regione Toscana. L’incontro nella pancia del pescecane tra Geppetto e il burattino, il racconto delle loro drammatiche avventure pregresse e lo slancio audace del giovane che proprio qui scopriamo più maturo nel farsi carico del babbo e delle sue fragilità fino a portarlo dove può riveder le stelle: queste vicende fatte vivere in un gioco di voci e lingue partiranno da Firenze , grazie al sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, della Fondazione Teatro Nazionale della Toscana e del Consolato Ucraino, per approdare a Kiev.

Un accostamento inusuale quello di Pinocchio con la guerra. Come mai ha scelto questo testo?

“Stavo lavorando al Pinocchio che debutterà alla Pergola il 13 e il 14 dicembre prossimi. È il primo dei tre appuntamenti che porto avanti anche quest’anno nell’ambito del progetto ‘Per amor dei poeti’ per la Fondazione Teatro della Toscana. Mentre facevo questo studio ed ero arrivato al pescecane, ho alzato un momento gli occhi dai libri: nella televisione accesa e senza audio sono passate immagini sfocate di corpi ammassati nelle fosse comuni, lasciati lungo il loro cammino dall’esercito russo. Si distinguevano cadaveri di bambini con arti amputati. Quando io avverto che il teatro diventa una decorazione fatua, ecco che cerco un rifugio nel teatro civile che per me poi è un teatro molto difficile. Tutti quelli che fanno teatro civile – Massini, che lo fa splendidamente, ma anche Paolini, o Biacchessi che viene dal giornalismo ed è anche lui bravissimo – tutti quanti questi autori si muovono, da un punto di vista filologico, all’interno della prosa e soprattutto nel tessuto narratologico. Loro raccontano. Il mio teatro civile invece è un teatro di poesia poiché questa è la mia formazione. Nella mia indagine io cerco continuamente di comprendere come la poesia possa darci una mano laddove c’è un teatro di forte significazione ma che deve diventare anche teatro di significante, in questo caso di significante sonoro, quindi la parola come spartito”.

Ritroviamo in questo lavoro la maestria più volte apprezzata nelle letture di Campana, ben 176 con l’ultima realizzata appena due giorni fa nella sala Luca Giordano di Palazzo Medici Riccardi a Firenze. Il poeta di Marradi (paese di cui De Vita ha ricevuto la cittadinanza onoraria in virtù del lungo lavoro svolto sul suo autore) ci ha lasciato su silenziosa carta una suggestione di suoni e significati accostati in maniera onirica o come preludio della follia, suggestione che prende vita attraverso la voce dell’attore, autore, doppiatore De Vita che, studiandone la ricchezza di versi ed esaltandone ritmo e assonanze, sondando e penetrando nel barocco del poeta, apre una breccia verso una possibile comprensione più istintiva che ragionata dei versi dei Canti Orfici.

“Questo aspetto formale del significante sonoro c’è anche nel Pinocchio in cui ho preso lo spunto o il pretesto da questa offesa della natura rappresentata dal pescecane e ho poi portato la risposta dell’uomo, l’idea della sopravvivenza, della salvezza comunque. Viene fuori una lettura bilingue del trentacinquesimo capitolo che è un capitolo struggente come lo è quasi tutto il libro di Pinocchio, che è pieno di orrori come l’impiccagione del burattino, lo stesso pescecane, i dottori che sono più che sapienti, insipienti. Ci sono insomma tantissimi elementi e chiavi di lettura che spesso non vengono presi in considerazione. In questo lavoro, poi, torno a cimentarmi in una lettura in lingua straniera insieme a Misha Tarasiuk, attore ucraino che ha da poco firmato il suo primo film”.

Non solo una lettura ma un rimando musicale di significati che si rincorrono nelle due lingue e che sfocia in un finale lasciato ai versi dello stesso De Vita, versi che ritornano sulla violenza con un lessico di guerra: “Spara spara”, ripetizione ossessiva come ossessiva sa essere la violenza, quindi “No, tu non sei mio fratello”, verso ricco di richiami che arriva con tutta la sua forza drammatica.

“Non è perché è una fiaba allora deve darci l’idea del lieto fine. La guerra non ha un lieto fine”.

In questo lavoro alla parola si aggiunge un altro canale comunicativo, da De Vita già frequentato nel suo percorso, quello dell’arte figurativa.

“Avevo fatto un inchiostro di Pinocchio ispirato all’urlo di Munch. L’ho fatto quindi vedere a Carlo Maltese (tra i migliori artisti fiorentini, atteso nei prossimi giorni alla Biennale di Venezia) che mi ha suggerito di aggiungervi un carrarmato. Questi due inchiostri sono stati poi inseriti da Carlo in un cielo di bombe, di colore plumbeo rosato che evoca il crepitio di fuochi e l’odore acre della morte e della guerra. Ecco la sinergia tra le arti, tra poesia e un’opera in tecnica mista che porteremo in omaggio a Kiev”.

In attesa di sviluppi che permettano di individuare la data di questo viaggio in Ucraina che si realizzerà tra agosto e settembre, De Vita sarà presente sulla scena fiorentina estiva con alcuni appuntamenti tra i quali quelli su Alda Merini, Thomas Eliot ed Eduardo De Filippo. Gli chiediamo però di dirci qualcosa sul Pinocchio che porterà alla Pergola.

Qual è il tema centrale sul quale vuole farci riflettere?

“Pinocchio è una favola di grandissimo spessore culturale, psicologico, filologico, psicanalitico che è stato oggetto di molti studi nel corso degli anni. Basti ricordare il grande filosofo Jacques Derrida, ma anche l’italiano Giorgio Agamben con i suoi lavori sull’estetica e ancora Wigman che si muove a metà strada tra filosofia naturale e psicanalisi. Pinocchio è per molti aspetti uno scrigno di metafore e simbologie importanti. Le mie indagini su questo testo mi hanno portato a scegliere una chiave che è di estrema attualità, quella della paternità, che è un archetipo, collegato all’autoritas, che oggi vive una crisi profonda”.

 

Foto in alto: da destra Oxsana Polataitchouk (traduttrice dei testi in ucraino), Luca Milani (presidente del consiglio comunale), Alessandro Lo Presti (rappresentante Giunta regionale), Ugo de Vita (attore), Misha Tarasiuk, Carlo Maltese

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