Nell’ambito dell’operazione Minerva con un maxi blitz anticamorra in Toscana la Guardia di Finanza ha eseguito 34 misure cautelari, tra cui 10 arresti (quattro in carcere e sei ai domiciliari), nove obblighi di dimora e 15 misure di interdizione personale con divieto di svolgere attività d’impresa. Disposto anche il sequestro di beni per un valore di 8,3 milioni di euro. Tra i reati contestati riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego, intestazione fittizia di beni, emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti con l’aggravante dell’associazione a delinquere di stampo mafioso per aver favorito il clan camorristico dei Casalesi. Oltre alle persone coinvolte vengono contestati illeciti a 23 persone giuridiche. Le misure cautelare sono state eseguite nelle province di Firenze, Lucca, Pistoia, Treviso, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Roma, Isernia e Caserta.

L’indagine, svolta dal Gico del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Firenze con la collaborazione dello Scico della Gdf, si è basata sulla minuziosa ricostruzione dei movimenti bancari e finanziari, nonché sugli accertamenti economico-patrimoniali. Ad attirare l’attenzione degli inquirenti sono stati numerosi investimenti immobiliari e commerciali effettuati in provincia di Siena da due commercialisti campani nel 2016: con loro un architetto fiorentino, originario del casertano. I tre professionisti sono ritenuti vicini ad ambienti della criminalità organizzata che facevano riferimento al clan dei Casalesi. Continuando a indagare gli inquirenti hanno scoperto che alcuni soggetti collegati al clan, attraverso molteplici società (immobiliari e commerciali) avevano reimpiegato ingenti disponibilità finanziarie di provenienza delittuosa in attività imprenditoriali attive sul territorio toscano.

Nell’ordinanza con cui il gip di Firenze ha disposto le misure cautelari si parla di diversi appalti pubblici, tra cui quello per la ristrutturazione del Museo degli Innocenti di Firenze e quello per realizzare un polo didattico per l’Università di Pisa.

L’analisi del flusso dei pagamenti per i lavori appaltati ha permesso alle Fiamme Gialle di scoprire un complesso sistema di false fatture che sarebbe servito a coprire grossi bonifici in uscita dalle aziende di costruzione, disposti a vantaggio di società cartiere. I conti correnti di queste ultime venivano poi svuotati attraverso un’organizzata squadra di “bancomattisti prelevatori“, persone in grosse difficoltà economiche, alcune beneficiarie di reddito di cittadinanza o di emergenza (misura introdotta a seguito dell’emergenza epidemiologica), che il sodalizio pagava con commissioni pari al 2-3% delle somme monetizzate.

Il sistema criminale si basava su una rete di diverse società, ritenute riconducibili agli indagati e formalmente gestite da prestanome, che hanno svolto diversi lavori edili sul territorio nazionale, operando perlopiù in subappalto. L’esecuzione dei lavori e la successiva fatturazione da parte dei committenti dava corso ad una prima serie di fatture per operazioni inesistenti a favore di società di comodo che attestavano falsamente la collaborazione nei lavori. L’ulteriore fase prevedeva altre fatturazioni per operazioni inesistenti a favore di altre cartiere, i cui amministratori, anch’essi prestanome, operavano il prelievo di contanti delle somme di denaro a titolo di pagamento di prestazioni in realtà mai rese. Dedotti i compensi ai prestanome, le somme prelevate finivano poi ai promotori dell’associazione a delinquere per essere successivamente riciclate attraverso investimenti immobiliari.

Durante l’emergenza Covid-19 alcune delle attività imprenditoriali coinvolte nel sistema truffaldino avevano hanno anche chiesto e ottenuto contributi a fondo perduto previsti dal decreto Rilancio e finanziamenti garanti dallo Stato.

“Un’operazione che difende la legalità e tutela la buona economia – commenta l’assessore alla legalità della Regione Toscana, Stefano Ciuoffo – preservando il tessuto imprenditoriale e sociale della Toscana che, rafforzandosi, può contribuire a contrastare la penetrazione della criminalità organizzata”. E ricordando l’ultimo rapporto realizzato per la la Regione dalla Scuola Normale di Pisa afferma che “la Toscana non è terra di mafia, ma la mafia ed altre organizzazioni criminali la utilizzano per riciclare denaro sporco. Le indagini che hanno portato agli arresti di oggi sono la conferma di un fenomeno sul quale dobbiamo porre la massima attenzione. Dobbiamo riuscire a comprenderne i contorni e trovare gli anticorpi giusti per prevenirne la diffusione. Per questo, da tempo, mettiamo in atto iniziative che puntano a far crescere nei cittadini, a partire dai più giovani, la cultura della legalità, fondamentale per il sostegno alla già efficace azione della magistratura e delle forze dell’ordine”.

 

 

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