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Spiagge amare: quanto pagano gli stabilimenti balneari allo Stato?

- Cronaca
15 Marzo 2019

A Marina di Pietrasanta (Lucca) il Twiga fattura 4 milioni di euro all’anno e paga 17.619 euro di concessione demaniale. Lo scrive Gian Antonio Stella sul Corriere della sera, in un articolo in cui si sofferma su una stranezza tutta italiana: basterebbe applicare la famosa direttiva Bolkestein, infatti, e tutte le concessioni balneari andrebbero a gara, ma da noi sono state prorogate fino al 2034… poi si vedrà.

Nessuno intende porre un freno a chi è capace di fare impresa e, puntando sul lusso (nel caso del Twiga), fa girare parecchi soldi. Tutto ciò, infatti, si traduce in lavoro e tasse, quinti anche lo Stato ci guadagna. Il problema è che un canone di poco più di 17mila euro all’anno appare bassino, considerando che quella cifra su base mensile (1468 euro) si può spendere per affittare un giorno e mezzo il “Presidential Gazebo” dello stabilimento. L’editorialista del Corriere osserva che, a conti fatti, il Twiga rende 227 volte l’affitto…

Certi luoghi sono “vip”, altri no. E questo, oltre alle capacità imprenditoriali, giustifica certi prezzi che vengono applicati ai clienti. Nessuno vuole negare la libertà di impresa e di spesa, ci mancherebbe. Però è lecito pensare che quel pezzo di spiaggia potrebbe fruttare molto di più allo Stato, che magari potrebbe destinare parte di quei soldi alla gestione della spiagge libere, considerato il fatto che l’accesso al mare va garantito a tutti, anche a chi non ha i soldi per pagarsi le mega tende super accessoriate di Briatore. Invece le spiagge libere attrezzate diventano sempre più piccole… attenzione però, nessuno rimpiange il tempo in cui gran parte della spiaggia era libera e sporca. Ben vengano i gestori dei bagni, che tengono pulito, offrono servizi, fanno investimenti e danno lavoro.

 

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Giornalista.

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