Gian Lorenzo Berti è stato un intellettuale molto importante nel Settecento. Per la cultura, la fede cattolica ma anche per la scienza. Nato a Seravezza (Lucca) nel 1696, sacerdote, divenne un apprezzato teologo nonché segretario generale dell’Ordine degli Agostiniani e prefetto della Biblioteca Angelica di Roma. Per risolvere un aspro scontro teologico che vedeva contrapposti gesuiti e giansenisti e papa Benedetto XIV molto preoccupato, gli agostiniani affidarono al loro teologo più insigne, il Berti, l’incarico di preparare un manuale che risolvesse la questione dottrinaria, ispirandosi all’insegnamento di Sant’Agostino. Berti finì, suo malgrado, al centro di una feroce diatriba dottrinaria. Per fare luce su questa importante e poco nota pagina della storia, abbiamo parlato con Massimo Tarabella, autore del libro “Gian Lorenzo Berti da Seravezza, teologo del ‘700” (edizioni L’Ancora, Viareggio).

Com’è nata l’idea di scrivere un libro su Gian Lorenzo Berti?
“Avevo notato che Gian Lorenzo Berti, ricordato nei testi di storia locale come un illustre teologo del ‘700 (fu teologo imperiale del Granducato di Toscana e professore all’Università di Pisa), era di fatto un illustre sconosciuto nella comunità di Seravezza e della Versilia. Il fatto mi ha incuriosito e motivato a toglierlo dall’oblio, in cui era stato relegato”.

Perché è importante la sua figura?
“Berti è stato un intellettuale religioso che ha dato interessanti contributi, non solo in campo teologico, ma anche scientifico e culturale. Il suo manuale, De Theologicis disciplinis, rappresentò un testo di riferimento dottrinario nel ‘700, in un momento in cui le diatribe teologiche tra gesuiti e giansenisti scuotevano la Chiesa disorientandola e mettendone a repentaglio l’unità. Era un’epoca in cui la religione era importante; ed ogni sovrano stava attento a mantenersi l’unità confessionale del proprio stato: la perdita di questo, avrebbe potuto destabilizzarlo. La dottrina del Berti invece, tenendosi equidistante dalle tesi dei gesuiti e dei giansenisti, da un lato incrociava le istanze di rinnovamento morale avanzate dai giansenisti, dall’altro rassicurava la Chiesa e i regnanti cattolici con la sua dichiarata fedeltà al cattolicesimo, sfatando il sospetto di perseguire una dottrina protestante”.

Fu importante anche sul piano scientifico, vero?
“Sì, Berti contribuì alla diffusione della vaccinazione durante l’imperversare nel ‘700 dell’epidemia da vaiolo. Si dubitava (allora come recentemente avvenuto col Covid) se quella pratica medica (detta all’epoca variolizzazione) fosse la sana cura contro il contagio; parte del clero e della classe medica erano contrarie. Berti allora affrontò il problema con pragmatismo: raccolse testimonianze, descrisse casistiche e quantificò le guarigioni; e sulla scorta dei risultati ottenuti pubblicò ‘Il consulto morale a favore della vaccinazione’: un documento che si rivelerà fondamentale per orientare l’opinione pubblica a favore del vaccino. Degne di nota sul piano culturale sono le ‘Lezioni sulla teologia della Divina Commedia’. Si tratta di uno studio, unico nel suo genere che molti studiosi considerano tra i primissimi interventi critici sulla teologia del grande poeta”.

Teologo accusato d’essere filo protestante, fu denunciato al sant’Uffizio. Perché? Come andarono le cose?
“La diatriba tra gesuiti e i giansenisti che tenne banco nel ‘700 riguardò la “Questione della salvezza”. I primi affermavano la salvezza prevalentemente per libero arbitrio; i secondi solo per grazia divina e a vantaggio dei predestinati; quest’affermazione però era stata condannata dalla Chiesa perché affine al protestantesimo. Quando Berti s’introdusse tra le opposte visioni con il suo manuale, affermò che la salvezza era decisa dalla grazia e della volontà, ma riconoscendo alla grazia una prevalenza nel concorso risolutivo. L’accentuazione sulla grazia però fu ritenuta dai gesuiti affine al giansenismo quindi a sua volta filo-protestante: e a ciò ne seguì la denuncia. Per il Berti fu l’inizio di un duro contenzioso da cui ne uscì con verdetto di assoluzione; ma la disputa nonostante fosse iniziata per motivi teologici, assunse man mano i connotati di lotta di potere, specie quando s’affacciò un nuovo temibile nemico per il cattolicesimo: l’Illuminismo; che con i suoi valori anticlericali metteva in discussione il primato della religione nella società. Allora i gesuiti, che all’epoca rappresentavano gran parte della gerarchia ecclesiastica, quando vennero a sapere che il frate di Seravezza (che aveva confutato la loro dottrina e stava crescendo di fama), era candidato cardinale, manovrarono tutte le leve del potere per escluderlo dalla nomina; e ci riuscirono. La storia del Berti racconta di un uomo di chiesa coinvolgo in una lotta teologica che man mano si trasforma in lotta politica di potere, in cui non si risparmiano scorrettezze e colpi bassi”.

Osteggiato dai Gesuiti non riuscì a diventare cardinale. Tornato in Toscana ottenne una cattedra all’Università di Pisa.
“Escluso il Berti dalla nomina, gli fu assegnata, probabilmente a mo’ di compensazione, la cattedra all’Università di Pisa. Nell’ateneo pisano entrò in contatto con le novità che arrivavano dall’Europa che discusse con le personalità della cultura dell’epoca. S’interessò perfino degli sviluppi della matematica collaborando con l’illustre professor Frisi; poi venne a sapere di una pratica medica orientale che sembrava desse ottimi risultati di cura contro il vaiolo: all’epoca vero flagello dell’Europa. Ma l’uso di detta pratica era dibattuto e inviso in parte dei medici e del clero: i medici per il rispetto al principio medico-ippocratico che affermava “che il corpo ha i mezzi per guarire (e nulla dev’essergli aggiunto); e nel clero, perché ritenuta una pratica infedele in quanto già adottata dalla popolazione turca. Sulla questione il Berti fu chiamato ad esprimere un parere morale, e questi, dopo un’approfondita ricerca e verificato i numerosi casi di guarigione, pubblicò, insieme ad altri due teologi, il noto Consulto a favore della vaccinazione che è considerato una delle prime opere di salute pubblica riguardo il vaiolo”.

Dagli incontri e le presentazioni che ha fatto, che riscontri ha avuto? C’è interesse su questo personaggio?
“Non è semplice proporre un tema storico-teologico ambientato nel ‘700: oscura è la materia e anche il periodo; facile che sconti a priori il preconcetto della complessità. Per fortuna mi ha aiutato l’effetto novità: per la prima volta si scoprivano le vicende di un illustre personaggio il cui nome echeggia tra le lapidi e le vie del paese, di cui non si sapeva nulla. Questo ha suscitato curiosità e interesse nel pubblico, che ha apprezzato sia la vicenda teologica che il contesto socio-economico dell’epoca che ho descritto”.

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