Ha destato scalpore la storia di Malika Chalhy, la ragazza di 22 anni di Castelfiorentino (Firenze) cacciata di casa perché omosessuale. Il consiglio regionale della Toscana con un voto unanime esprime “solidarietà nei confronti della giovane, vittima di discriminazione e di un grave episodio di omofobia da parte dei propri genitori non tollerabile nella Toscana culla di civiltà”. La mozione, inizialmente presentata da Italia viva, è stata approvata nel testo sostitutivo che ha ottenuto la firma di tutti i capigruppo (con Stefano Scaramelli, Vincenzo Ceccarelli, Pd; Francesco Torselli, FdI; Elisa Montegmagni, Lega, Irene Galletti, M5s; Marco Stella, Forza Italia). L’atto di indirizzo impegna la Giunta regionale “a promuovere iniziative di sostegno e di aiuto” nei confronti della ragazza, “e di tutte le vittime di discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale”. Sollecitate anche iniziative da prendere “per il tramite del servizio pubblico e dell’associazionismo”.

La famiglia della ragazza, com’è noto, non accetta che Malika abbia una compagna. Ma non si limita a disapprovare, ha letteralmente buttato fuori di casa la giovane, impedendole persino di recuperare i propri effetti personali e cambiando la serratura della porta. Della vicenda si è occupato anche il programma di Italia 1 “Le Iene“. L’inviata Veronica Ruggeri ha tentato di parlare con i genitori della ragazza, ricavandone solo poche parole stringate e un netto rifiuto al dialogo. È riuscita, invece, a parlare più a lungo con Samir, il fratello di Malika. Che ha ribadito con estrema durezza la linea della propria famiglia: “Io non prendo le parti di una persona che fa schifo. Dammi una coltellata, rubami la roba in casa, io un domani ti riparlerò. Ma non mandarmi i carabinieri a casa. Ci doveva riflettere molto bene. Questa reazione da parte dei miei, lei la conosceva nei minimi dettagli. È una cosa che andrà avanti per anni. Ci vorranno anni prima di mettersi tutti e quattro a tavola e mangiare un boccone insieme. La prima cosa che mia mamma mi ha detto è stata ‘per la droga c’è la cura, per questo no’, loro la reputano proprio una malattia”.

Questa incredibile storia ci riporta dritti nel Medioevo. A colpire più di tutti è l’odio dei messaggi su Whatsapp che la mamma ha mandato alla figlia. Parole terribili, da cui emerge tanta cattiveria, una cattiveria che una mamma non può provare per una persona a cui ha dato la vita. È qualcosa di inconcepibile, contro natura, a prescindere da tutto. Siamo convinti che questa donna abbia bisogno di essere aiutata. Sì, aiutata a capire che l’omosessualità non è una malattia e che, per le frasi che ha detto a sua figlia, dovrebbe solo vergognarsi e chiedere scusa. Non sappiamo come andrà a finire. La cosa che più colpisce è che Malika, parlando con “Le Iene”, si è già detta disposta a perdonare i propri genitori, anche se ha chiarito che non tornerebbe da loro. E un altro esempio di civiltà lo ha dimostrato con questa frase, che ha scritto su Facebook: “Porto avanti questa battaglia con coraggio, per i ragazzi che stanno passando quel che ho passato e sto passando io, per i bambini del futuro, per quel che conta nella vita… l’amore. Vi chiedo soltanto di non dimostrare odio, offese e parole brutte verso i miei ‘genitori’, per quanto siano anche comprensibili. Vi abbraccio tutti”.

 

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