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Le libertà violate e il virus

- Cultura
2 Maggio 2020

Andrea Cosimi

Il 31 Gennaio 2020 il Consiglio dei Ministri Italiano delibera per la durata di 6 mesi lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili. Intanto partiamo da qui, perché a questo atto non fu dato molto risalto mediatico, ma adesso è fin troppo evidente che questo Governo, anche ove tutti gli indicatori deponessero per un allentamento marcato delle misure restrittive attuate in tutti questi mesi, come minimo fino al 31 luglio potrà riservarsi la possibilità di continuare a non “riaprire” l’Italia.
La politica italiana, infatti, nella assoluta sudditanza della maggioranza verso un Comitato Tecnico Scientifico istituito con Decreto il 5 febbraio 2020, e nella sostanziale approssimazione demagogica e urlante dell’opposizione, ha rinunciato al ruolo a cui è chiamata, consegnandosi ai pareri di venti persone tra le quali, giusto a titolo di cronaca, non c’è una donna e non c’è uno psicologo, tanto per fare un esempio, ed evito volutamente di entrare nel merito, mentre ieri il quotidiano il Tempo ha pubblicato un articolo eloquente e allo stesso tempo inquietante sul calibro internazionale di questi virologi che hanno imposto la chiusura del nostro Paese al Governo.

Tante di queste persone le abbiamo viste succedersi come ospiti della conferenza stampa delle 18 che ha accompagnato e scandito le nostre giornate fino a qualche giorno fa. Il Governo è invece stato alquanto determinato nell’emanare a ripetizione i famosi Dcmp. Un Dcpm è un atto emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri che non ha forza di legge e che ha carattere di fonte normativa secondaria. In sostanza questo strumento non può essere esercitato in concreto senza una norma di legge che lo autorizzi: di qui il dibattito sulla violazione della Costituzione, visto che nella Storia della nostra Repubblica ci troviamo di fronte alla più grande limitazione delle libertà fondamentali mai avvenuta: in un colpo solo siamo stati privati (o come minimo fortemente limitati) della libertà di circolazione, della libertà di riunione, della libertà di associazione, della libertà religiosa, della libertà di manifestazione del pensiero, del diritto al lavoro, del diritto all’istruzione. Ottenere un risultato senza precedenti non è stato difficile, alimentando quotidianamente paura, terrore e senso di colpa.

Adesso, con i numeri che per fortuna scendono significativamente ogni giorno, si tende a protrarre questa segregazione mentale delineando l’ondata di ritorno che potrebbe avvenire in autunno. Il pensiero del filosofo americano Chomsky si è spesso occupato dei meccanismi della comunicazione, e adesso verrebbe da menzionare espressamente tante delle sue affermazioni in merito a quelle che qualcuno ha definito le dieci regole del controllo sociale, dal rivolgersi alla gente come a dei bambini a far leva sull’aspetto emotivo, dallo stimolare il popolo ad essere compiacente e assuefatto alla strategia del differire. Ma sarebbe tema troppo complesso. Non si venga piuttosto mai più a dire che il popolo italiano è un popolo indisciplinato, visto che ci siamo comportati benissimo. Solo la Cina, nel mondo, ha subito misure più rigide.

Per fronteggiare l’emergenza da Corona Virus lo Stato ha invaso pesantemente la nostra vita privata nonostante la Costituzione Italiana non preveda alcun procedimento per autorizzare la sospensione o la restrizione dei diritti fondamentali. Bene dunque che, dopo questi mesi di stampo giuridicamente autoritario, si sia tornati a discutere, appena ieri l’altro, in Parlamento.

Dal 4 maggio parte dunque in Italia quella che è stata chiamata Fase 2. Lo è a parole, nella sostanza è un prolungamento ulteriore della Fase 1 con due timide aperture in più, quella riguardante i congiunti e quella concernente l’attività fisica. Continuiamo ad attenerci alle regole perché altrimenti questi sono capaci di tenerci in questa situazione fino al vaccino.

Anche se in pressoché tutto il resto di Europa le misure sono state e sono tuttora molto più condivisibili e meno dure. Che poi, nell’ambito delle diffuse e pesanti conseguenze economiche derivanti da questa draconiana gestione della situazione, settori ad esempio di punta nel nostro Paese come quello del turismo, della ristorazione e tutto ciò che ruota intorno all’estate siano ancora sotto scacco di quello frega a pochi. In attesa che qualche mente illuminata dica all’Italia ciò che è normale ed intelligente aspettarsi di sentirsi dire: che bisogna convivere con il virus da subito, prima che sia troppo tardi per la nostra bella Italia.

 

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