Nell’era dei social capita di tutto, anche di essere licenziati con una comunicazione che avviene via WhatsApp. È quanto è accaduto ai dipendenti di un ristorante di Arezzo, l‘America Graffiti, che fa parte di una catena diffusa in tutta Italia. Il locale chiude l’8 gennaio scorso. Sulla pagina Facebook del locale scrivono: “Temporaneamente chiuso per passaggio di proprietà” (vedi foto sotto). Ai lavoratori arriva la comunicazione via WhatsApp: il locale sarebbe rimasto chiuso ma “entro breve sarà riaperto”, assicuravano i soci. Questione di giorni o settimane, pensavano i dipendenti. Invece, dopo quasi un mese, è arrivata la beffa: il ristorante resta chiuso. La comunicazione ancora una volta è avvenuta tramite WhatsApp, senza neanche il coraggio di guardare in faccia i lavoratori. Subito dopo aver dato la notizia l’autore è uscito dal gruppo. A voler troncare ogni comunicazione. Il 31 gennaio sono partite le lettere di licenziamento, passaggio formale obbligatorio. Restano a casa, come si legge su Arezzo Notizie, una ventina di persone, di cui 15 a tempo indeterminato.

America Graffiti è un franchising sparso in tutta Italia, con una sessantina di locali a tema (gli anni Cinquanta negli Usa). Ogni locale è gestito da una società ad hoc, quello aretino faceva capo ad una società con due soci di Firenze ed uno di Arezzo ed era stato aperto nel gennaio 2015. Dopo cinque anni la chiusura, eppure, stando a quanto raccontano le persone del posto, il locale era molto frequentato.

Una ditta di traslochi, intanto, ha portato via gli arredi dal locale di via Ernesto Rossi, definitivamente chiuso. Il primo segnale, inequivocabile, era stato questo: la rimozione del cartello che annunciava la prossima riapertura. Come riportava qualche giorno fa il Corriere di Arezzo l’ingegner Secci, il cui figlio è tra i soci, ha detto che i “dipendenti saranno tutti liquidati”.

L’Arno.it ha raccolto la testimonianza di un ex dipendente che dà una versione un po’ diversa dei fatti. Ve la riportiamo:

In data 22 gennaio siamo stati convocati dalla soietà per quella che sarebbe stata l’ultima riunione. In quella sede ci fu amaramente confermato che, loro malgrado, sarebbero stati costretti a licenziarci in data 31 gennaio, come effettivamente è stato. Il famigerato gruppo Whatsapp di cui si parla tanto era composto esclusivamente da noi dipendenti per coordinare il lavoro. Nessuno dei soci vi partecipava e pertanto nessuno di loro poteva dare quel tipo di comunicazione… le ultime comunicazioni vertevano solo sulla richiesta di alcuni di loro a me come direttore, che facevo un po’ da tramite con la proprietà, di verificare se le lettere fossero effettivamente state spedite. E poi sì, sono io quella che è uscita dal gruppo, esasperata dalla situazione e amareggiata da quello che stava succedendo, semplicemente dopo aver confermato che le lettere erano partite (come mi aveva confermato la società). Ma, ci tengo a ripetere: i dipendenti erano già pienamente consapevoli, tant’è vero che chiedevano solo se le lettere fossero partite e non cosa stesse succedendo… Questo è quello che è veramente accaduto, non capisco perché qualcuno dei miei ex colleghi abbia interesse ad alzare questo polverone che sicuramente non porta niente di buono a nessuno. Io non voglio difendere la proprietà, perché è anche a causa loro che siamo arrivati alla chiusura di un locale che io ho vissuto molto intensamente negli ultimi 5 anni… però non mi sembra neanche corretto gettare fango in questo modo su gente che alla fine ha comunque cercato di tutelarci e ci sta pagando tutto quello che ci è rimasto da avere”.

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