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Nascondersi nell’arte: Liu Bolin a Firenze

- Cultura, Eventi
1 Settembre 2023

Ilaria Clara Urciuoli

Cosa vuol dire nascondersi? Il gesto intenzionale che Liu Bolin ci presenta come fulcro, il più evidente (anche se non l’unico) degli elementi caratteristici della narrazione della propria arte, acquista i significati cangianti della provocazione, della critica, dello stupire, del bisogno di smuovere coscienze, forse anche del gioco e del più amaro disincanto. Un gioco (o dramma) artistico attraverso il quale lo scultore, pittore, fotografo, performer cinese vive il mondo e lo completa nascondendosi. Ultima tappa del suo “Hiding in the city” è Firenze dove, finalmente riconoscibile sullo sfondo magnifico della Sala d’Arme di Palazzo Vecchio, Liu Bolin ha presentato la mostra “Hiding in Florence”, visitabile fino al 18 settembre. Sei scatti, sei presenze-assenze, sei interrogativi-provocazioni lanciati al visitatore, sei modi per confrontarsi con l’arte del passato e forse per accettare la superiorità di ieri sulla povertà dell’oggi.

Per comprendere e dunque apprezzare le fotografie esposte bisogna conoscere la storia personale dell’artista, tornando indietro al 2005, alla protesta che in quel momento intraprende contro il governo cinese, reo di demolire il Suojia Village International Arts Camp di Pechino in cui il giovane aveva studiato e da dove avanzava, marciando sulla tradizionale calligrafia cinese, l’arte contemporanea in quella nazione. Liu reagisce non solo ritraendo quelle rovine, ma facendosi parte di quelle rovine. Questa mimesi è idea brillante perché riesce a insinuarsi nelle coscienze, a non essere messa a tacere dal potere, perché denuncia, come ci spiega Marco Bazzini, curatore della mostra, “ma lo fa nell’interpretazione e non nel pronunciato”.

Per comprendere ma soprattutto per apprezzare le fotografie esposte bisogna allora, anche nel qui e ora occidentale, conoscere e ancora di più interrogarsi e darsi risposte: bisogna conoscere gli spazi dello scatto, la loro storia, la loro identità più o meno manifesta e bisogna essere curiosi, svegliarci dal torpore della pigrizia e riflettere sulle ragioni di quelle scelte, su cosa lui decide di essere diventando tela nella foto, su quale prospettiva, punto di vista, luce mette in gioco. E, ancora, bisogna darsi risposte. All’interno di questo processo, non necessariamente breve né scontato, si realizza davvero l’opera. Ecco quindi l’importanza dei vari momenti necessari per la costruzione della foto, momenti riassunti in un video sul backstage che, oltre a rendere più consistente la mostra grazie a un approccio immersivo, riescono a guidare il visitatore che vuole confrontarsi con le opere di Liu Bolin.

Molte sono, a questo punto, le domande e conseguentemente molte le prospettive critiche cui quelle fotografie possono indurci. Un esempio: tra i luoghi scelti per il suo “Hiding in Florence” c’è Palazzo Vecchio, edificio ma soprattutto simbolo caleidoscopico della città, del potere e del potere in epoche diverse, dunque simbolo della storia, del cambiamento, delle scoperte prime tra tutte la prospettiva (così necessaria per il lavoro di Liu Bolin), non in ultimo simbolo di un turismo che mette in crisi la stessa città. Il punto di vista dal quale ci viene presentato l’edificio è quello probabilmente più conosciuto, quello che le migliaia di persone che ogni giorno percorrono via Calzaioli sono abituati a vedere/non vedere per il grande affollamento.

Una piazza erroneamente deserta come quella della foto ci appare (dopo il Covid) immagine comune e straniante insieme. L’artista qui è mimetizzato stranamente in posizione non centrale (un omaggio forse ad Arnaldo di Cambio che costruì il Palazzo con la torre non centrale?) e dell’edificio copre e ripropone dipinto su sé non solo l’ingresso ma la principale delle statue che accompagnano il visitatore: la copia del David di Michelangelo. E così, riflettendo sul suo farsi statua e pittura di statua, osservare la luce e le altre infinite e talvolta impercettibili variabili che ha trattato nella costruzione della fotografia. Cosa ci racconta quella foto? Ecco la conclusione che ognuno di voi deve trovare.

Potremmo dire che attraverso questo viaggio nascosto, ora in Italia (Verona, Venezia, Milano, Roma e adesso Firenze) ma già anche nel resto del mondo, Liu ci restituisce la necessità di dare identità reale ai luoghi e alla storia per riscoprire e tornare a scegliere la nostra identità; ci parla di consapevolezza, di rispetto e considerazione dell’altro, di responsabilità, tutto questo in linea con quello che è il suo approccio artistico, basti vedere l’impegno manifestato nel 2016 nel progetto “Migrants”.

Ma forse questo doversi celare, come il suo ingresso invisibile (o liquido sullo sfondo solido della Sala della Venere) nella Collezione degli autoritratti della Galleria degli Uffizi, ci lascia anche un po’ di tristezza per il nostro oggi.

Ilaria Clara Urciuoli

 

Foto: Yanzi

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