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Quell’irrefrenabile voglia di cultura

- Cultura
2 Maggio 2022

Luca Bocci

Dieci di sera, inizia a far fresco, mi tocca stringermi nella giacca. Ogni tanto mi chiedo chi me lo faccia fare di restare lì, in piedi in un parcheggio, con due persone che nemmeno conosco troppo bene. Non è la buona educazione ad impedirmi d’inventare una scusa qualunque e svignarmela. Le ragioni non mancherebbero: a parte il freddo, ho pure una fame bestia, scatenata più che placata dalle tartine dell’apericena. Non riesco ad andarmene perché non capita tutti i giorni di parlare di cose non banali con due maestri dell’affabulazione, gente che dell’accostare parole per il massimo effetto ha fatto arte. Dopo due anni passati chiusi tra quattro mura, a rovinarsi gli occhi di fronte ad un monitor, incontrare persone interessanti di persona non è più una cosa da tutti i giorni: è un’occasione importante, da celebrare. A mangiare si fa sempre in tempo, chissà quanto mi ricapiterà di ascoltare storie del genere, pezzi di vita che valgono oro, spaccati di un mondo andato che non ho avuto la ventura di conoscere.

Se la pandemia ci ha insegnato qualcosa è di non dare niente per scontato. Questi momenti sono importanti, rendono la vita degna di essere vissuta. Quando sono uscito di casa cinque ore prima, mai mi sarei aspettato niente del genere. A spingermi fuori dal mio piccolo ufficio, uno degli incarichi meno graditi per un giornalista: coprire la presentazione di un libro. Nei miei trentatanti anni di professione, ho perso il conto delle serate passate ad ascoltare discorsi sempre uguali, gente ansiosa solo di sfoggiare la propria cultura, profondamente innamorata della propria voce. A spingermi a non accampare scuse e trascinarmi via dal divano il fatto che a presentare il suo libro era un collega dell’Arno, quel Guido Martinelli le cui cronache dal mondo della cultura e occasionali “spigolature” arricchiscono il nostro sito da anni. Per non parlare del fatto che, reduce dall’ennesima delusione all’Arena Garibaldi, si era sorbito parte del dibattito da me moderato qualche tempo fa alla Leopolda. Le buone azioni non vanno ignorate, mai. Il karma è una brutta bestia.

Entrando alla Biblioteca Comunale di Cascina, le mie aspettative erano decisamente basse. Sei del pomeriggio di venerdì? Chi vuoi che ci venga? Mi presento coi soliti 15 minuti d’anticipo, cercando il volto dell’autore tra i presenti. Niente. Possibile sia in ritardo alla presentazione del suo libro? Gli mando un Whatsapp. Un dubbio atroce mi assale: quella persona sul palco con il gilet sgargiante e la riga tra i capelli ampia mi è familiare, nonostante la mascherina gli copra il volto. Accenno un saluto con la mano. Se ne accorge e mi fa cenno di abbassare la “museruola”. Era proprio lui. Scuse di rito ed ennesima storiella interessante da spacciare agli amici più avanti. Non lo sapevo ancora ma di storie del genere ne avrei messe in cascina parecchie quella sera. La saletta della biblioteca si riempie quanto consentano le norme sul distanziamento; meglio o peggio di quanto mi aspettassi? E chi può dirlo? In giro di voglia di partecipare ad eventi dal vivo non sembra essercene molta. L’assessore alla cultura del Comune di Cascina, Bice del Giudice, inizia la sua presentazione. Mi aspetto il solito monologo chilometrico, le classiche sviolinate sugli sforzi della giunta per promuovere la cultura. Invece no, intervento preciso, misurato, dritto al punto, rara avis per i politici moderni. La sensazione che ho è che anche lei abbia una gran voglia di sentire parlare i suoi invitati. Il sopracciglio si solleva quando l’assessore fa una domanda all’autore, chiedendo spiegazioni sul suo libro. Lo ha letto davvero? Questa sì che è una novità. Di solito sei fortunato se danno una scorsa alla cartella stampa cinque minuti prima. Se l’esperienza mi dice di aspettarmi sempre il peggio da un politico, in questo caso è stata pessima consigliera. Un assessore alla cultura davvero appassionata di libri, pensa te.

Capisco subito che le persone sul palco non solo si conoscono ma sono davvero amici. Accanto a Martinelli un altro autore di spicco, recentemente salito alle cronache grazie ad un romanzo “Ritmo Cabrio” che parla di paternità cercata, musica anni 80 e ricordi di giovinezza, Sergio Costanzo. A completare il parterre, Pierantonio Pardi dell’ETS, storica casa editrice pisana che ha pubblicato il romanzo di Martinelli nella sua collana “Incipit” qualche mese fa. Il fatto che la saletta sia quasi piena nonostante questo fatto mi avrebbe dovuto far pensare, ma ero troppo impegnato a seguire la conversazione. Rialzo la testa dopo più di un’ora e mezza. Cosa è successo? Di cosa hanno parlato? Di tutto e di più, con leggerezza, arguzia ed eleganza. Siamo passati da considerazioni sul Bildungsroman al ruolo della musica nella narrazione, con deviazioni impreviste su bomber dimenticati degli anni 70-80 (ho lavorato nello sport per una vita ma mi ci sono voluti almeno 30 secondi per capire che “Oleg” era Blokhin, superstar della Dinamo Kiev di Valerij Lobanovs’kyj) e brani del romanzo di Martinelli. Tutto riuscendo in un’impresa apparentemente impossibile: incuriosire il pubblico senza rivelare quasi niente dell’opera del buon Guido Martinelli. Alla fine, nonostante l’ora della cena fosse fin troppo vicina, nessuno sembrava volersene andare. Merito sì dell’atmosfera particolare, del tono conviviale e della leggerezza della conversazione, ma soprattutto della vera e propria fame di cultura che stiamo tutti vivendo.

Mentre eravamo giustamente preoccupati del bailamme che ci si stava scatenando attorno, non ci siamo accorti di come ci fossimo disabituati a parlare di cose che fanno bene all’anima, che ci rendono veramente vivi. C’è chi dice che i libri, la cultura, l’arte sono cose superflue, lussi che in una situazione di crisi andrebbero messi da parte. Non sono assolutamente d’accordo. Il 9 agosto 1942, con la Wehrmacht alle porte, la popolazione di Leningrado si riunì attorno alle poche radio o agli altoparlanti del sistema d’allarme per ascoltare la Grande Orchestra eseguire per la prima volta la sinfonia numero 7 di Dmitrij Šostakovič, uno dei più grandi compositori del tempo. Decine di migliaia di abitanti di quella che fu e sarebbe poi tornata ad essere San Pietroburgo erano già morti di fame, molti altri sarebbero seguiti nelle settimane successive, ma a subire il colpo furono, incredibilmente, i soldati tedeschi che da mesi stringevano in una morsa infernale l’ex capitale. “Quel giorno capimmo che avremmo perso la guerra”, dissero qualche anno dopo. La cultura non è uno sfizio, è cibo per l’anima e nessuna tecnologia riuscirà mai a sostituire il piacere di una conversazione di persona.

Forse per questo che molti sono rimasti lì, a fare due chiacchiere, anche dopo il rompete le righe ufficiale. Mentre parlavo con varie persone mi sono reso conto di una cosa sorprendente: quasi tutti i presenti erano scrittori, magari non di professione, ma profondamente appassionati alla difficile arte di tessere con le parole orditi celestiali. Mentre, buon ultimo, uscivo nell’aria della sera che si faceva notte, mi sono accorto che non solo non c’era alcuna traccia di invidia ma nemmeno di autoreferenzialità, vera e propria iattura della cultura alle nostre latitudini. Guido e gli altri mi hanno poi invitato a prendere qualcosa da bere, un’apericena, tanto per continuare un momento che percepivamo come speciale. Alla fine mi sono accodato, forse rendendomi conto per la prima volta quanto mi fossero mancate quelle conversazioni sane, oneste, mai banali, senza bisogno di sfoggiare la propria erudizione. Nelle successive due ore si è parlato davvero di tutto, sbocconcellando le tartine e sorseggiando un mediocre cocktail analcolico alla frutta. Dalle donne del nostro passato alle disavventure di viaggio in paesi che oggi nemmeno esistono più, dalle trappole dei contratti editoriali ai momenti imbarazzanti per sempre impressi nelle nostre memorie, niente di trascendentale ma allo stesso tempo roba che ci terremo volentieri per noi. Senza quasi accorgermene mi sono messo a raccontare storie cui non pensavo da anni se non decenni.

Normalmente non succede, rimango spesso sulle mie, ma la grande convivialità mi aveva contagiato, come se anch’io fossi loro amico da una vita. Non me n’ero mai accorto, ma quello scambio di idee aperto, libero, a guardia rigorosamente bassa, mi mancava da morire. Alla fine, dopo una lunga storia moderna che profuma d’antico, di sortilegi, magia popolare e che meriterebbe sicuramente di trovare casa tra le pagine di un libro, ce ne siamo tornati alle nostre vite, ai problemi di tutti i giorni, alle preoccupazioni vicine e lontane. Per qualche ora siamo stati altrove, in un posto fatto di quella materia rarefatta ed esotica della quale sono fatti i sogni. Tra maniscalchi della lingua italiana è molto più semplice che si scatenino faide piuttosto che “corrispondenze d’amorosi sensi”. Quella sera le cose sono andate diversamente.

Una volta a casa, mentre cercavo di riempire il buco nello stomaco che mi aveva perseguitato per qualche ora, mi sono domandato se eventi del genere debbano per forza essere straordinari. Perché mai non dovrebbero essere la normalità? Perché mai ogni evento culturale non dovrebbe essere così coinvolgente ed interessante? Ci vogliono gli ingredienti giusti, ovvio. Ci vuole un’organizzazione illuminata, che lasci spazio agli autori di fare quel che gli viene meglio, senza bisogno di portare acqua al proprio mulino. Ci vogliono relatori sicuri di sé stessi, interessati non a farsi belli ma a scambiare opinioni su temi interessanti, senza esagerare nel promuovere le proprie opere. Ci vuole anche il pubblico giusto, certo, ma quello a giudicare dall’entusiasmo dei presenti non manca di sicuro. Non capita tutti i giorni che tutti rimangano fermi, in religioso silenzio durante una presentazione di un libro, senza che nessuno debba rispondere ad una chiamata o anche andare in bagno.

Se ho imparato qualcosa da questa serata è che c’è davvero fame di cultura, di libri, di conversazioni oneste, dove nessuno si sente “in cattedra”, dove ci si considera tutti veramente alla pari, dove non c’è bisogno di fare i pavoni. A giudicare dal numero di libri che sono rimasti dopo la presentazione, funziona anche come strategia commerciale. Se ne avete occasione, comprate “Bis” di Guido Martinelli e “Ritmo Cabrio” di Sergio Costanzo. In generale, sostenete le coraggiose iniziative editoriali locali: ci vuole coraggio a far cultura oggi, quando rischiamo tutti di essere sommersi da un oceano di pensieri foschi.

Spero che iniziative come quella del Comune di Cascina non rimangano mosche bianche, che siano molti ad imparare da loro ed imitarli. A parlare di libri e di cultura non si cambierà il mondo, ma si migliora tutti come persone. Ed ogni rivoluzione, piccola o grande, inizia sempre da chi vedi nello specchio ogni mattina. Grandi cose possono succedere solo quando mettiamo da parte l’ego e ci apriamo al prossimo. Spero davvero che da questi incontri casuali possa scaturire qualcosa di buono, qualcosa che ci distragga dall’inferno che rischia di inghiottirci senza trasformarci in ubbidienti automi, esperimenti da laboratorio di oscuri Dottor Stranamore. Se, invece, rimarrà un evento isolato, sarà stato comunque utile. Se non sai nemmeno cosa ti sta mancando, come fai a cercare una soluzione? Sarà solo un primo passo, ma di questi tempi non possiamo permetterci di buttare via niente.

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