Ilaria Clara Urciuoli

Celebre per le sue litografie che rendevano le vie di Parigi un museo a cielo aperto e le scatole di biscotti o di Moët & Chandon oggetti meritevoli di attenzione, Mucha passa la prova del tempo non solo per le sue fanciulle contornate da decorazioni floreali o geometriche ma anche per l’inquietudine artistica e intellettuale che ben emerge dalla mostra “Mucha. La seduzione dell’Art Nouveau” visitabile fino al 7 aprile a Museo degl’Innocenti a Firenze.

La forza della sua arte trova sicuramente il centro focale nella donna, icona di una Belle Époque francese declinata ancora tutta al maschile, presentata in mille varianti (altezzosa, languida, pudica, materna, ammiccante, allusiva o limpida nella sua aura di freschezza ma sempre accogliente), colta nell’attimo che condensa un’attitudine, rappresentata in aperto dialogo con chi la osserva o nell’intimo di un momento che sembra spiato.

Non a caso una donna, la divina attrice Sarah Bernhardt, ha contribuito alla sua affermazione, legata indissolubilmente al manifesto dello spettacolo teatrale Gismonda, dominato dal ritratto en rôle dell’attrice a grandezza naturale, così come sarà anche per le successive opere che Mucha realizzerà per il suo teatro.

Il talento ben evidente nei disegni presenti in mostra (uno tra tutti quello per la Medea) era intriso di cultura e riflessione. Scopo dell’arte è esaltare la bellezza che è, scriveva, “proiezione di armonie morali sul piano fisico e materiale”. Lui, nato nella Moravia meridionale nel 1860, quando dunque quel territorio era una delle tante anime del multietnico Impero asburgico, aveva vissuto fino al suo trasferimento a Parigi in un clima di fervente patriottismo. Nella capitale francese ebbe modo di confrontarsi con artisti e intellettuali, affinare la propria spiritualità già condizionata dalla devozione della madre, indagare scientificamente l’impatto delle arti visive e della musica sulle emozioni e i sensi, aderire alla massoneria e sviluppare una visione del progresso del genere umano che confluirà in Le pater, personale interpretazione del Padre Nostro.

Ma la divisione tra ciò che aveva fatto fino ad allora e il suo ideale di arte per il popolo diventava frattura nel 1900, contestualmente al suo crescente successo legato anche all’Esposizione Universale di Parigi per il quale allestì per l’Impero austro-ungarico il padiglione della Bosnia-Erzegovina. Ripensando a quei momenti scriverà: “Era mezzanotte, ed eccomi lì solo nell’atelier di rue Val-de-Grȃce tra i miei dipinti, manifesti, stampe. Ero decisamente agitato: vedevo le mie opere adornare i salotti dell’altissima società […] vedevo i libri pieni di scene leggendarie, i serti floreali e i disegni che glorificavano la bellezza e la tenerezza femminile. Così impiegavo il mio tempo, il mio tempo prezioso, mentre la mia patria era costretta a dissetarsi con acqua stagnante”.

Quando nel 1910, dopo 25 anni di assenza quasi ininterrotta, farà ritorno in patria la sua arte subirà una svolta e con lei la donna da lui ritratta che cambia profondamente aspetto e funzione: da immagine di sensualità assume forme meno erotiche per diventare, indossando gli abiti tradizionali cechi, il simbolo di una nazione desiderosa di vita.

Trovati i fondi necessari avvia quello che sarà il ciclo pittorico cui dedicherà diciassette anni di lavoro: l’Epopea slava, venti murali dipinti su tele grandissime in cui raffigura la storia del popolo esortandolo alla lotta per il panslavismo. Lavora negli anni della prima guerra mondiale, della carneficina europea, che vede al suo termine raggiungere un risultato importante proprio grazie alla dissoluzione dell’Impero austro- ungarico: nasce nel 1918 la Cecoslovacchia (così come del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni) che Mucha celebra con l’ultima opera dell’Epopea, Apoteosi. Gli slavi per l’umanità. Quattro fasi di storia slava a quattro colori in cui su un passato più o meno gioioso e glorioso si eleva un giovane uomo simbolo di una nazione finalmente riconosciuta mentre il popolo avanza nei suoi vestiti tradizionali e in primo piano spettatori senza tempo si stagliano sul dipinto ed esultano.

 

Foto: Ufficio stampa

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