L’amore è il protagonista del primo appuntamento della stagione di prosa 23-24 del Teatro Verdi pisano attraverso l’ennesima messa in scena dell’immortale e tragica storia di Giulietta e Romeo. A far rivivere l’amore esaltante e drammatico dei due veronesi a tutti noto, stavolta è la Politeama srl che ha riproposto il canto del cigno dell’indimenticato Gigi Proietti, l’opera con cui l’istrionico attore e regista inaugurò la storia del Globe Theater romano una ventina di anni fa.

La regia, volendo sottolineare l’attualità di una storia che parla di una inutile e infinita faida simile alle tante che ancora infestano il nostro pianeta, ha vestito in molti momenti i 23 attori in scena con abiti dei nostri giorni, insieme a suggestioni musicali odierne. D’altronde gli autori classici sono tali quando propongono storie che resistono all’usura del tempo perché parlano delle profondità dell’animo umano che resistono immutabili ed eterne allo scorrere del tempo.

La storia è narrata con una recitazione scattante e moderna priva di enfasi, toni e gesti impostati di gusto ormai retrò, da un gruppo di attori molto affiatato in cui tutti mostrano una perfetta dizione e una ottima capacità sincronica di movimento agile e veloce e a tratti sembra di vedere in azione un corpo unico in giro anche tra il pubblico così coinvolto nella pièce. L’in-folio testuale shakespeariano originale è rispettato nella sua interezza e solo riverniciato e adattato ai nostri tempi dalla regia dell’amato e compianto Gigi di cui si ode un commovente prologo.

È il solito, classico tripudio amoroso adolescenziale, e per questo vitale, prorompente, audace e dall’epilogo tragico per la faida in corso tra le famiglie dei due giovani.

Il grande Gigi vide nella scena della festa il punto centrale della vicenda dato che se Romeo non vi si fosse recato per cercare l’amata Rosalina presto dimenticata alla vista di Giulietta, la tragedia non avrebbe avuto luogo. E non ci sarebbe stata neppure la susseguente morte di Mercuzio, provocata senza volere da Romeo che per vendicarlo uccide il suo assassino Tebaldo, cui inizialmente l’ardente giovane si era rivolto con intenti conciliatori avendone sposato segretamente da poco la cugina. Anche Mercuzio è una figura importante poiché morendo maledice le due famiglie per aver provocato la sua morte e fa presagire l’epilogo tragico dei due innamorati. Per non parlare del caso e dell’errore che, come spesso accade, impedisce a Romeo di sapere della finta morte dell’amata provocata da Fra’ Lorenzo e causa la dipartita dei due giovani coinvolgente pure l’ignaro conte Paride, pretendente di Giulietta. Unica speranza della tregedia, per l’immortale bardo, è che quelle assurde morti insegnino alle due famiglie a cessare la faida e scoprire la pace.

La messa in scena insegna da secoli che quando l’odio prevale sul suo opposto non si progredisce nella convivenza tra  singoli e collettività, come in questi giorni le notizie dei fronti di guerra attualmente e tragicamente vicini a noi ci mostrano, per cui di fronte alla realtà la speranza conclusiva del capolavoro del bardo si affloscia e perde di vigore.

Nel folto e affiatato gruppo di attori, tutti di gran livello e per la maggior parte giovani e di sicuro e fortunato avvenire accompagnati da colleghi esperti e di conclamato valore artistico, non si possono non segnalare gli appassionati, valenti e efficaci Matteo Vignati e Mimosa Campironi nei ruoli dei due protagonisti; Diego Facciotti nelle vesti di Mercuzio; Sebastian Gimelli Morosini in quelli del conte Paride. Senza dimenticare Martino Duane e Roberto Mantovani nei panni dei padri, rispettivamente dei Capuleti e dei Montecchi; Massimiliano Giovannetti, a suo perfetto agio nel saio di Frate Lorenzo, mentre Loredana Piedimonte presta con decisione e credibilità le sue sembianze alla Balia. Le scene sono figlie dell’ingegno di Fabiana Di Marco e i costumi di quello di Maria Filippi; i contributi musicali sono opera di Roberto Giglio; Loredana Scaramella  e Francesca Visicaro hanno infine ricoperto, rispettivamente, i ruoli di regista assistente e di aiuto regista di un ‘opera che ha seguito filologicamente le indicazioni del rimpianto, geniale, Gigi, a cui è stato reso un giusto omaggio.

Grande apprezzamento finale del pubblico di fronte ad un’opera immortale a cui è stata resa la giustizia dovuta.

Guido Martinelli

 

Foto: Teatro Verdi di Pisa (Facebook)

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