Ilaria Clara Urciuoli

Cento anni per le nostre vite tanto schiacciate sul presente possono sembrare (e per certi versi sono) l’altra sponda di un vastissimo canyon che è il Novecento, quel secolo che fu breve, salvo poi di essere riaperto con qualche colpo di coda di estrema attualità. Cento anni hanno diviso noi (il popolo dei social e dei viaggi low-cost, del consumo poco consapevole che improvvisamente si scontra con un’urgenza ambientale fatta tacere finché si credeva possibile, noi che ci muoviamo tentoni e ancora sbigottiti sullo sfondo di questo nuovo conflitto europeo) da un popolo italiano che sacrificava i propri figli nella Grande guerra e poi faceva i conti con il difficile periodo di pace e povertà che ne sarebbe seguito.

Che il tempo avanzi e renda vecchio è una scoperta di cui qualunque donna e uomo che abbia superato i 35 anni prende coscienza. Poi, a rompere questo velo rugoso e unire i lembi del canyon arrivano istituzioni come la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze che apre le sue segrete e ne estrae giornali, cartoline, libri, spartiti che parlano di quel nostro presente sul quale in pochi anni sarebbero piombate una dittatura e altre morti. “Dissonanze 1917-1922. Da Caporetto alla Marcia su Roma, un paese diviso” è un percorso espositivo (visitabile fino al 4 febbraio prossimo) che ci porta a osservare dall’interno quegli anni, a renderli per un’ora contemporaneità, facendoci percepire difficoltà, dubbi, debolezze di quel periodo e così porci domande.

Come i giornali affrontano la guerra e la sua censura? Quali miti e quali valori emergono da una società martoriata? Come si muove la politica, come agiscono i partiti e gli intellettuali? Una costruzione che fa scalpore perché ci accompagna verso gli anni più bui della nostra storia post-unitaria, sfiorandoli senza trattarli nella loro degradazione morale, rimanendo sul limitare di quel buco nero che assorbirebbe ogni emozione e sforzo razionale trasformando in retorica la domanda “come è stato possibile?”.

È proprio il limite temporale offerto dalla mostra che lascia la necessità di senso e di risposta a quella domanda. Come è stato possibile ciò che è seguito? Ognuno in questi documenti troverà risposte che se non possono cambiare il passato ci permettono di fare attenzione al futuro: l’incertezza del presente, espressa in maniera egregia da una vignetta in cui chi fa la storia attende che la roulette dia il suo responso, le necessità economiche di uno Stato prima in guerra e poi da ricostruire che accanto al censurare impara a parlare alla pancia del cittadino attraverso immagini e slogan efficaci (ecco dunque un soldato nel vivo della battaglia che interrompe la sua avanzata e alza il dito verso l’osservatore mentre la scritta “Fate tutti il vostro dovere!” vuole dargli voce), l’abitudine alla violenza che la guerra aveva lasciato insieme al mito dell’eroe combattente e agli slogan del troppo capace D’Annunzio, le divisioni nei partiti che pure avevano grande peso in Italia (un’altra vignetta saluta la nascita nel 1921 del partito comunista dalle pagine dei quotidiani).

Anni di dissonanze – come mette in rilievo lo stesso titolo scelto per la mostra – che si stigmatizzano bene nel susseguirsi repentino tra biennio rosso e biennio nero per uno Stato di recente formazione le cui strutture si piegheranno mostrando tutta la loro fragilità.

Ilaria Clara Urciuoli

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