Guido Martinelli

Si fa un gran narrare del fatto che nel nostro Paese perdiamo la memoria del passato, col rischio di ripetere gli errori pregressi. Per questo è importante che la cultura e l’informazione siano alla portata di tutti e non relegate in polverosi sacrari accessibili a pochi privilegiati che, o usano un linguaggio iniziatico quando divulgano, o addirittura tengono celate ai più le vicende del tempo che fu. In quest’ottica è importante la figura di divulgatori popolari che sappiano far circolare le conoscenze storiche usando al contempo un linguaggio semplice  e comprensibile a tutti. Una di queste figure nazionali è stato il compianto Piero Angela, mentre, ora, nel territorio pisano abbiamo Sergio Costanzo.

Quest’ultimo è un narratore non cattedratico ma competente, motivato e attento a riportare alla luce i fasti e le nequizie dell’antica storia della città della torre, ormai ricoperti dalla polvere del tempo. Un “pisantropo“, innamorato della sua città, e sempre attento a riportarne alla luce il passato con i suoi libri.

L’ultima sua fatica letteraria è “Da zero a mille o della memoria dannata di Pisa“, presentato pochi giorni fa alla biblioteca di Cascina, insieme al presidente della compagnia di Calci, Ferruccio Bartolini, e con i saluti dell’Assessore cascinese alla Cultura Bice Del Giudice, ma prima e dopo in tanti altri luoghi. Capirete che l’occasione era troppo ghiotta per evitare di incontrarlo e scambiare alcune impressioni con lui sull’argomento.

Quando è nato e di cosa parla il suo libro “Da zero a mille”?
Di Pisa storica si parla sempre poco, spesso reiterando notizie incerte. Negli anni, studiando, ho percepito che molti cronisti, storici, condottieri, cartografi avevano parlato della nostra città a partire dal V secolo avanti Cristo. Mi sono messo alla ricerca nel 2016, collezionando frammenti, aneddoti, cronache e racconti. Nel 2019 è nata la pièce teatrale, per dar voce a chi si interessò di Pisa nell’antichità, dalla fondazione all’anno Mille. Poi venne il Covid, si interruppe l’esperienza teatrale e, nella pausa forzata, la sceneggiatura è divenuta un libro edito da “Il Campano” di Pisa”.

Com’era Pisa negli anni che lei descrive in queste pagine?
“Tracciare un profilo urbanistico è impossibile. La piana pisana era una laguna con terre emerse e approdi. Fino al VI secolo, quando fu deviato il corso dell’Auser, Pisa doveva somigliare molto a Venezia. Spesso Pisa è citata al plurale, Pisae, a testimoniare che esistevano molti insediamenti distribuiti sulle isole lagunari”.

Cosa ha fermato la forza pisana?
Fino al 1406 nessuno ha fermato Pisa. La sconfitta peggiore si ebbe alla Meloria, ma va ricordato che pochi anni dopo Pisa annientò la lega guelfa e l’esercito fiorentino a Montecatini. Pisa si è fermata da sola quando si sono indebolite le istituzioni che la sostenevano e corruzione e intrigo hanno preso il posto di imprenditoria e conquista”.

I rapporti con Firenze non sono mai stati idilliaci. Anche ai giorni nostri basta vedere la questione dell’aeroporto che un tempo avrebbe scatenato una guerra. È successo anche in quei tempi lontani che questioni delicate come questa non sfociarono in uno scontro bellico?
Diciamo che erano tempi di belligeranza, ma non mancarono le possibilità di mediazione. Pochi sanno, per esempio, sanno che dopo il periodo della 2^ Repubblica, nel 1509, Pisa e Firenze si dovettero sedere a un tavolo comune per elaborare un piano di pace. Non ci fu un vinto né un vincitore. Anche Firenze uscì da quel periodo a pezzi, col fallimento della repubblica morale e il rogo del Savonarola”.

Come mai Pisa ha perso il suo valore nel corso dei secoli senza recuperarlo?
“Perché quando Firenze entrò in città, grazie al tradimento di Giovanni Gambacorta, la ricchissima Pisa fu devastata. Ci furono morti, arresti, stupri, la città ridusse i suoi abitanti da 55.000 a meno di 5.000. Archivi bruciati, palazzi bruciati, memoria azzerata, dannata. Pisa emigrò, nelle isole, in oriente, in Provenza. Nel tempo è stata ripopolata, non dai pisani, ma da un coacervo di persone che non hanno potuto percepire e assorbire un’identità. Pisa è stata ‘spisanizzata’, mi si passi il termine, secondo un piano scientifico ordito da Firenze. Persa la memoria, persa la forza, perso l’orgoglio”.

Com’erano e come sono adesso i pisani?
I pisani erano navigatori adusi al commercio e alla conoscenza del diritto. La forza di Pisa non fu solo navale o militare, fu la perfetta padronanza delle leggi che permise alla nostra città di affrancarsi dai poteri forti nel 603 d.c., quando Pisa uscì dall’influenza del papato, dei bizantini e dei longobardi, dichiarando nei fatti un’indipendenza sancita poi dalle leggi del 1081. I pisani di oggi ignorano la propria storia e quindi è come dire che non esistono pisani”.

Ci dia la sua ricetta per restituire alla nostra città l’antico prestigio…
Studiare, studiare e ancora studiare. Riscoprire il vero ruolo che Pisa ebbe e che Firenze ha deliberatamente cancellato e mistificato. Riprendere dalle scuole, formare nei giovani una coscienza civica. Solo se una cosa diventa un po’ nostra, siamo disposti a rispettarla, difenderla, migliorarla. Pisa ai pisani, non ai burocrati e alla baronia universitaria, tutti proni a Firenze”.

Dove si trova il suo ultimo libro.
In tutte le librerie di Pisa, e ovviamente online sulle più conosciute piattaforme. La conoscenza è l’unica arma che può dare consapevolezza e da quella è necessario ripartire per ambire a un futuro. Dico di più. Se Pisa e Livorno abbattessero i confini amministrativi, la fascia costiera tornerebbe ad essere un potente motore economico. Per questo Firenze, insicura, narcisista, invidiosa, opera da secoli un ‘dividi et impera’ che fa male a Pisa, alla Toscana e all’Italia tutta”.

Un’ ultima domanda, lei ha praticamente detto: “Pisa ai pisani”. Ma cosa sarebbe disposto a fare, magari politicamente, in prima persona?
“Specifico, Pisa ai pisani di fede, senza distinzione di colore, credo, origine. L’impegno, come autore ha, anche, un senso politico, sociale. È faticoso, un sacrificio, nel senso del ‘Sacrum Facere’ ovvero rendere sacro ciò per cui si lavora. Di più (sorride ndr), potrei candidarmi, magari non subito, per provare a rendere sacro un impegno politico vero, incarnando un ruolo a metà, tra il Sindaco e il Capitano del Popolo. Vedremo!”

 

Una vera e propria dichiarazione d’intenti che accogliamo con l’intento di verificarne gli sviluppi. Ringrazio, quindi, Sergio Costanzo per il suo lavoro, le sue scoperte e le sue indicazioni, che forse andrebbero raccolte. Sospetto anch’io che dovremmo tutti  sapere di più sul passato della nostra città per amarla, farla prosperare e crescere nonostante tutto e tutti. Studiamo un “bricinino” allora, gente, studiamo! Che ne dite?

Guido Martinelli

 

 

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