Ha studiato a Pisa, alla Normale, poi ha lavorato ad Harvard, a Parigi e al Cern di Ginevra. Si occupa di fisica teorica, in particolare delle teorie della gravitazione. Damiano Anselmi insegna (è professore associato all’Università di Pisa) e fa ricerca. La sua ultima teoria è quella dell’infinitamente piccolo, il “fakeone”. Di che si tratta? A piccolissime distanze e per intervalli di tempo estremamente piccoli gli eventi non hanno un ordine. In pratica non esistono presente, passato e futuro e non c’è alcuna regola causa-effetto. Da ciò consegue che tutte le regole fisiche conosciute perdono significato. L’universo è legato a formule ed equazioni esatte a grandi distanze, spiega Anselmi, ma diventa sempre più libero e anarchico scendendo nel piccolo. Questa, in estrema sintesi, è la teoria, che, tra le altre cose, riesce a riconciliare la gravità e i quanti, problema rimasto aperto dai tempi di Einstein. Ora Anselmi sta studiando per trovare conferme sperimentali alla sua teoria. Se ce la farà anche il famoso Bosone di Higgs, noto come “particella di Dio”, potrebbe essere un “fakeone”. Oltre alla fisica Anselmi ha un’altra grande passione, quella per la politica americana. Che ha studiato nei suoi meccanismi, scoprendo che alla base vi è la fisica. Ce lo racconta in questa intervista.

Professore, come nasce il suo interesse per la politica americana?
Da alcuni anni la seguo quotidianamente. I meccanismi sono molto interessanti. L’ho studiata da dentro, quando mi trovavo negli Stati Uniti, andando a spulciare i documenti dei partiti. Ho trovato della fisica anche lì e ho implementato un algoritmo per le elezioni, basato sulle primarie a tappe più la convention. Le ho chiamate“Libertarie”, in ragione del fatto che definiscono un processo libero da logiche d’apparato.

Ci spieghi meglio…
Senza saperlo negli Usa hanno trovato la formula della democrazia, che non si può certo improvvisare. Alla base di ci sono delle leggi statistiche, e della fisica. Nessuno da noi ha veramente la possibilità di emergere dal nulla e, in un tempo ragionevole, diciamo 60-70 giorni, candidarsi coll’effettiva possibilità di essere eletto. Neanche nelle primarie del Pd. I vecchi sistemi, basati su regole e apparati di partito, sono stati in auge negli Usa per circa 200 anni. Poi, dalla fine degli anni Sessanta, tutto è cambiato.

Cosa è avvenuto?
Anche negli Stati Uniti, esattamente come da noi, i partiti erano dominati dai capi, che decidevano tutto. Oggi è la combinazione di primarie a tappe e convention finale a regolare il sistema. Ma non è un sistema, tipo quello del Pd in Italia, dove la cassiera di un supermercato non avrà mai la possibilità di emergere, perché non la conosce nessuno. Procedendo per tappe anche un candidato minore ha la possibilità di farsi conoscere e apprezzare. La sua candidatura si autoalimenta, può crescere con il tempo e conquistare la ribalta. Si crea un effetto di amplificazione, un momentum in cui anche uno sconosciuto, se ha buone idee e capacità, può arrivare a competere con gli altri. Il primo esempio, clamoroso, fu il democratico Jimmy Carter, nel 1976, che per primo aveva intuito la legge fisica alla base del meccanismo. Anche Ronald Reagan vinse quasi tutte le primarie del suo partito (repubblicano, ndr), ma poi la convention ribaltò il risultato. Quella fu l’ultima convention dominata dai capi partito. La volta dopo, anche i repubblicani si adeguarono al nuovo sistema e Reagan non ebbe più ostacoli.

Al partito, dunque, resta l’ultima parola…
In Usa il partito è la convention. In Italia abbiamo un’immagine un po’ riduttiva, per non dire distorta, delle convention. Crediamo siano solo dei grandi show mediatici, con tanti bei discorsi, slogan e palloncini. In realtà sono il massimo organo decisionale dei partiti. Tutto viene deciso alle convention. Gli elettori governano l’intero processo democratico mediante le convention, dove mandano i propri delegati, scelti nelle primarie. In Italia le regole le decide l’apparato: ad esempio chi e come può candidarsi. Negli Usa no, sono gli elettori che scrivono le regole. E questo fa un’enorme differenza.

La passione per la fisica è venuta da piccolo a Damiano Anselmi, quando nella sua cameretta iniziò a leggere una biografia di Einstein. Non riusciva a staccarsi da quel libro e ancora non sapeva che, la fisica, sarebbe diventata così importante nella sua vita. Non ha mai smesso di essere curioso e di cercare di dare un senso a tutto ciò che ci circonda. Dalla gravità alla politica…

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