Paolo Lazzari

All’inizio non lo volevano neanche girare. Troppo costoso, mormoravano i più pessimisti, affaccendati intorno a conti che sembravano non poter tornare mai. C’era però qualcuno che ci credeva, in quella pellicola estiva che sarebbe diventata anello di congiunzione tra il cinema balneare – ma impegnato – di un Dino Risi, e gli sguaiati cinepanettoni degli anni a venire. In “Sapore di mare” ci credevano prima di tutti gli attori e, a conti fatti, il particolare assunse peso specifico decisivo. Jerry Calà – per dire – si trovava all’apice della fama. Chi glielo faceva fare di accettare un cachet striminzito? Avrebbe potuto tranquillamente fare spallucce di fronte ai fratelli Vanzina, declinando il gentile invito.

Invece indovinò il colpo del secolo: scelse una base fissa bassa, ma con una percentuale sugli incassi al botteghino, laddove il film avesse infranto il muro degli 8 miliardi di lire. I produttori si sfregarono le mani, convinti che quello scenario fosse probabile come una nevicata in Versilia in pieno agosto, ma alla fine il film ne incassò più di dieci. Touché per Jerry.

A Forte dei Marmi arrivò anche un giovane Christian De Sica, un altro che ebbe l’intuizione giusta: Carlo ed Enrico gli sventolarono sotto il naso soltanto 600mila lire, ma lui accettò egualmente. Fu un trampolino formidabile per la sua carriera. E poi, certo, c’erano una Virna Lisi giganteggiante, Marina Suma, Isabella Ferrari e tutti gli altri. Chi possedeva già una fama consolidata la accrebbe. Chi ancora doveva costruirsela vide la sua carriera sprintare in avanti.

Quel che resta a 40 anni quasi esatti da quell’unica vera gemma dei Vanzina (per loro stessa ammissione, il resto sarebbe da gettare tutto via) è l’immagine sgualcita di una Versilia che non esiste più. Il film, addirittura, compiva salti temporali per raccontarci il Forte vent’anni prima e poi molto dopo il 1983, anno in cui i protagonisti – provenienti da ogni angolo d’Italia – si ritrovano per fare un giro dentro alle vite altrui per il tempo effimero di un’estate.

Era, quella, una terra contrassegnata dal boom economico che accarezzava i sogni di una generazione munita di inventiva e coraggio. Un mix vincente, tanto sul grande schermo, quanto nella vita reale. Oltre la cortina di superficialità da ridi e getta che contraddistingue questo genere di lavori, molto più in là dei sorrisi appena strappati, Sapore di mare sapeva alzare il tiro con una malinconia contundente di sottofondo. Quella ispirata dalla colonna sonora che, maliarda, si lavora la maggior parte delle scene. Quella, specialmente, che erompe quando pensi alla vita che poteva essere e non è stata.

Oggi quei sapori si intridono di un retrogusto amaro. Quella Versilia non soltanto vacanziera, ma capace di autoalimentarsi tutto l’anno, non c’è più. Forte dei Marmi è diventato da anni esclusiva riserva di caccia estiva dei russi e di altri mega ricchi che arrivano, spolpano e vanno via. Non è un caso se Fabio Genovesi, scrittore nato proprio da queste parti, parlò di “morte dei Marmi” per tutto il periodo che non viene abbracciato dal sole vero.

Le palanche attraggono a tal punto che molti ristoranti, bar e discoteche lungomare incontrano difficoltà inedite quando si tratta di arruolare personale che, meglio rifornito, preferisce spostarsi a lavorare nell’entroterra, al soldo del munifico Zar di turno. Non è per forza un male, certo. Ma resta il fatto che quella venatura romantica che si stendeva come un balsamo sulla località nel 1983, adesso è soltanto un ricordo. La dura legge del mercato non accetta prigionieri. Quarant’anni dopo il pensiero di quel che poteva essere, forse, ti ammacca ancora di più.

 

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