Guido Martinelli – 

Il ciclismo è un evento sportivo che alletta e coinvolge le masse da sempre. Qualcuno, in un’epoca come la nostra sempre più tecnologica e  apparentemente nemica della dinamica muscolare, si può domandare come mai la bicicletta possa attrarre ancora. L’umorista francese Didier Tronchet, nel suo “Trattato di ciclosofia”, ritiene che la bici non sia un semplice mezzo di trasporto con cui arrivare da un luogo a un altro, ma un mezzo per arrivare a una migliore conoscenza di sé e del mondo. La differenza la fa il sedere leggermente all’indietro che fa assumere al ciclista la postura delle statue antiche, e non caso dal sellino il ciclista che pedala guarda il mondo da un’altezza ideale da cui si respira meglio e con cui ci si sposta senza inquinare. La bici, per questo autore, è il prolungamento non solo del corpo ma dell’anima, e permette al ciclista di fluttuare al di sopra della moltitudine, senza disprezzo, ma neppure senza curarsi delle desolanti contingenze della terra ferma. È pure una metafora della vita perché, aggiungerei con l’aiuto dello scrittore statunitense Artur Bloch, “dovunque tu vada sarai sempre in salita e controvento”, e grazie a gambe forti che, come diceva il bicampione del mondo Gianni Bugno, “saranno poco importanti ma nel ciclismo contano”. Questi atisti in movimento sono capaci di creare un’armonia, per dirla come il comico Claudio Gregori in arte Greg, che paragona la bici all’arpa in grado di trasformare in musica le gesta degli uomini, anche le tragedie.

Tutto questo preludio per sottolineare l’attuale momento festoso cui, come ogni mese di maggio da 107 anni si celebra nelle strade del nostro Paese  il rito di questo antico mezzo di trasporto  così semplice e utile, col Giro d’Italia, un evento sportivo di assoluto valore mondiale che trascende il valore dello sport. Certo, dagli schermi casalinghi dove le telecamere fanno vedere le vicende dinamiche e convulse delle gare con gli scatti ripetuti dei protagonisti, è ben più fruibile che dal vivo dove il serpenttone colorato di pedali macinanti l’aria passa veloce come un fulmine: un’emozione colorata che fugge via. Ma ugualmente persiste a conservare un tale fascino da attrarre ancora folle di appassionati. Quest’anno, finalmente, è tornato nella nostra Toscana, dopo l’assenza dell’anno passato, dove si conclude una delle sue ventuno tappe. 

E quale poteva essere la città designata per tale evento se non  Lucca? È notorio quanto i lucchesi siano abili a organizzare eventi che portano lustro e ritorno economico, basti pensare a manifestazioni internazionali come “Lucca Comics” o “Lucca Summer” o al film con star d’oltreoceano che hanno appena finito di girare tra le mura di questa stupenda cittadina, gioiello di assoluto valore artistico e modello di vita.

Così mercoledì la lunga carovana rosa si è fermata nella città dello squisito buccellato con decine e decine di persone al seguito in svariate mansioni, stand di marchi pubblicitari, radio e tivù private e pubbliche, per un evento che, oltre ad essere un importante e vitale momento sportivo, è soprattutto una immensa festa popolare priva, per di più, delle più minime tensioni presenti in tutti gli altri sport nonché bel momento d’incontro e di scambio di emozioni tra i presenti.

Lucca ha celebrato il Giro anche con tanti eventi ludico-culturali collaterali tra cui ha senza dubbio brillato una stupenda mostra dell’artista inglese Karl Kopinski, Wearing The Pink, visibile nella chiesa di San Franceschietto fino al 12 maggio, dedicata alla celebrazione dei grandi eroi del pedale come Bartali, Coppi, Merckx, Pantani, Moser, Pogacar e altri. Alcuni di questi dipinti sono stati riprodotti anche in 12 biglie giganti esposte in quattro importanti piazze cittadine.

Ritratto dell’artista inglese Karl Copinski
Bici con cui Francesco Moser battè il record dell’ora (mostra di Karl Copinski)

Dal punto di vista agonistico la frazione si è  conclusa nel lunghissimo Viale Carducci, vicino alla stazione ferroviaria, in mezzo ad un’imponente ala di folla, circa 15.000 persone felici  di presenziare a questo happening. Un‘immensa e gioiosa festa popolare allietata da gadget rosa a poco prezzo o regalati, animazioni e balletti sul traguardo, musiche e sorrisi di tutti, nessuno escluso.

All’arrivo l’ha spuntata allo sprint un ciclista francese, l’ottimo Benjamin Thomas, con l’italiano Andrea Pietrobon purtroppo ripreso a 200 metri dall’arrivo e terzo classificato sotto lo striscione finale.

Dopo decenni di successi è purtroppo un periodo storico poco favorevole ai ciclisti di casa nostra, e dopo aver applaudito numerosi campioni italici immensi possiamo riversare la nostra ammirazione e il nostro sostegno verso atleti provenienti da terre fino ad ora sconosciute alle due ruote come la Slovenia, da cui proviene l’attuale maglia rosa Tadei Pogacar (oltre il vincente della passata edizione del Giro, Primoz Roglic), che salvo imprevisti ha molte probabilità di portarla fino all’ultima tappa di Roma, il 26 maggio.

Benjamin Thomas taglia il traguardo per primo a Lucca

Oggi, giovedì, il Giro ha continuato a girare nella nostra regione passando tra ali entusiaste di folla da Torre del lago Puccini, omaggio al bicentenario della morte del sublime musicista, fino alle terme senesi di Rapolano, passando tra le gloriose strade bianche poco distanti dal traguardo. Ovviamente è transitato anche nel nostro territorio pisano, dove il ciclismo è molto praticato e considerato, come si è potuto vedere anche dalle immagini televisive che hanno mostrato il gran numero di presenze festanti a far di cornice al passaggio del biscione colorato delle due ruote sia nei borghi attraversati che in mezzo alle strade lontane dai centri abitati. La vittoria, stavolta, è arrisa ad uno spagnolo, Pelayo Sanchez, che ha bruciato allo sprint l’ex campione del mondo francese Julian Alaphilippe.

Ma l’importante non è il processo bensì il risultato, ovvero non far risaltare e tributare onori  solo a coloro che per primi hanno superato la fettuccia d’arrivo, bensì plaudire lo sforzo nobile e intenso di tutti questi sportivi, in grado di correre a velocità a tratti vicine ai 60 orari più per passione che per lucro, dato che un semplice calciatore di terza serie, autore di fatiche molto inferiori ai pedalatori, riesce ad essere pagato con cifre ben superiori della quasi totalità di loro.

Viva il ciclismo, allora, facendo tesoro di chi, parlandone con devozione come Ambrogio Morelli, un antico ciclista mai diventato un campione, riteneva che  questo sport sia “come l’amore: vince chi fugge”.

Buona fuga a tutti, allora, e pedalate, anzi pedaliamo tutti, che fa bene alla salute, a prescindere delle qualità individuali.

Guido Martinelli

Cicloamatore del 1937 con bicicletta originale del 1940

Foto di Guido Martinelli

 

 

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