Ilaria Clara Urciuoli

Firenze, 1855: usciti dalle aule dell’Accademia un gruppo di pittori percorre via Larga sbuffando non tanto contro la fiorentina Accademia delle Belle Arti ma in generale contro la mentalità che proliferava in quelle aule lungo tutta la penisola. “Vivai di mediocrità”: così definirà quei luoghi nel 1869 L. Raymond in “Le Belle Arti in Italia e le sue Accademie. Considerazioni esposte al Ministro della Pubblica Istruzione”; così la pensava quel gruppo di artisti che si definiva progressista e che da lì a qualche anno avrebbe trovato, grazie ad un critico della “Gazzetta del Popolo”, il nome identificativo di Macchiaioli.

Di questa schiera col tempo avrebbero fatto parte diversi pittori, non solo toscani, quali Telemaco Signorini, Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Odoardo Borrani, Serafino De Tivoli, il veronese Vincenzo Cabianca, il napoletano Giuseppe Abbati, il romano Nino Costa e poi ancora il veneziano Federico Zandomeneghi e il ferrarese Giovanni Boldini. Nomi, molti di questi, ben noti a un vasto pubblico italiano sebbene soffrano ancora una competizione con gli Impressionisti francesi che li lascia ingiustamente relegati a realtà marginale. Ma intanto, ignari di quello che sarebbe stato il futuro, il nostro gruppo attraversa via Larga in direzione Duomo e presto giunge al punto di ritrovo, il Caffè Michelangiolo, dove discute, litiga, scherza, attende forestieri portatori di novità, guarda il mondo e la sua luce.

È da questo luogo che simbolicamente prende il via il percorso della mostra curata da Francesca Dini dal titolo “I Macchiaioli”, visitabile fino al 26 febbraio prossimo al Palazzo Blu di Pisa. Oltre 120 opere, organizzate in 11 sezioni, ci raccontano l’evoluzione artistica di questi pittori e insieme la rivoluzione da loro realizzata nel panorama italiano, a partire da quel Caffè Michelangiolo che era spazio alternativo ai canoni imposti. Ciò era chiaro del resto già dai primi anni di apertura del locale in cui l’atmosfera comico-burlesca si univa all’incessante ricerca artistica promossa dai suoi eterogenei frequentatori. A restituirci quel clima ironico sono le caricature di Angelo Tricca come “Serafino De Tivoli e Carlo Markò Jr.” o “Ademollo Carlo va in cerca di soggetti storici”.

In questa sede troviamo inoltre una vasta rappresentanza di tele a soggetto storico, centrale della prima produzione di questi artisti fautori della libertà di espressione che pure, inizialmente, rimasero incagliati in quello che era una caratteristica tipiche dell’arte del tempo: scegliere soggetti di epoche passate. Possiamo così osservare tele come “I funerali di Buondelmonte” di Saverio Altamura o “Galileo Galilei davanti al tribunale dell’Inquisizione” di Cristiano Banti, ma anche opere che attestano l’attenzione dedicata alla ricerca storica come, ad esempio, “Ritratto di Signorini in costume da Borgia” del già citato Altamura.

Giovanni Fattori, In vedetta (o Il Muro bianco)

Ma è in quello stesso 1855 che sulla scena internazionale (che attentamente guardavano i nostri pittori) si afferma con l’Esposizione Universale di Parigi la pittura di paesaggio. A questo tema dunque è dedicata la seconda sezione che sfocia poi nell’esame dello sguardo da loro gettato sulla contemporaneità e, quindi, sul Risorgimento, uno dei punti chiave della poetica macchiaiola. A caratterizzare i nostri artisti sono lo sguardo intimo sulla realtà a loro coeva e una visione antieroica e profondamente umana della guerra, come emerge con forza da quadri come “Battaglia di Magenta” di Giovanni Fattori che in quegli anni si converte alla macchia e che sceglie di ritrarre il campo di battaglia dopo l’azione, quando protagonisti sono i carri che raccolgono morti e feriti.

Giungeranno per i Macchiaioli gli anni dell’affermazione e della coesione del gruppo per dare all’Italia un’arte nazionale allineata con le contemporanee manifestazioni internazionali. Dopo uno sguardo sui luoghi cantati da questi pittori la mostra si avvia alla conclusione con il 1866, l’anno di chiusura del Cafè Michelangiolo e preludio della nascita del “Gazzettino delle arti del disegno”, luogo ideale intorno al quale far ritrovare e discutere le varie personalità.

Nell’ultima sala osserviamo i Macchiaioli proiettati verso il Novecento, con nuove leve che vanno a reintegrare un gruppo meno forte (con De Tivoli, Boldini, De Nittis, Zandomeneghi e D’Ancona trasferiti a Parigi e Senesi e Abbati morti). Doloroso il finale disincantato segnato dal “Pro patria mori” di Fattori che nel presente vede dispersi gli ideali risorgimentali che furono faro per la sua generazione e, deluso all’indomani della Battaglia di Dogali, dipinge il corpo del soldato morto lasciato sul campo, abbandonato in terra straniera.

Ilaria Clara Urciuoli

Odoardo Borrani, Cucitrici di camicie rosse

Foto in alto: Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta (Giovanni Fattori)

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