Guido Martinelli

Pisa ‘un c’è più!… La Cittadella, e ponti… Portammare… l’abberghi, la stazione… ‘Un vedi artro ‘he macerie a montie ti senti morì dalla passione!…
Ma ‘r sole ‘n su’ lungarni è sempre ‘vello, e l’Arno ‘anta sempre ‘ome prima!…e quando ‘n sulla sera ar frescuccello, sento ‘r pianto ‘he gliè lì ‘n cima, ‘n cima…
allora m’arriordo ‘he qui drento Pisa c’è sempre!… Si!… Drento ner còre! Come una stella drento ar firmamento!… E allora rido e di’o: Pisa nun mòre!…”

In questi versi, tratti dal libro “Scuriosando per Pisa” edito da Nistri-Lischi, del compianto pisantropo Gianpaolo Testi, si possono rinvenire degli stupendi versi di Domenico Sartori che così bene descrivevano Pisa dopo il devastante bombardamento americano del 31 Agosto 1943, negli ultimi atti della rovinosa Seconda Guerra Mondiale.
Domenico Sartori è una figura importante nel panorama artistico-teatrale pisano del secondo dopoguerra attualmente misconosciuto che merita di essere riscoperto. Era di origine friuliana ma seppe immedesimarsi profondamente nella vita e nella sensibilità pisana, di cui divenne, insieme ad amici e familiari (da lui utilizzati tutti nelle frequenti recite teatrali), un propulsore, tanto che gli Amici del Teatro di Pisa, in un attestato di benemerenza datogli nel 1955, gli attribuirono la “creazione del teatro vernacolo pisano”.

Le cronache lo descrivono “piccolo di statura, di colorito olivastro, con capelli a riccioli che gli inquadravano prepotentemente la faccia e ne mettevano in ancor più evidenza gli occhi profondi”. Morì a soli 54 anni ma ebbe un ruolo vitale nella ricostruzione del vernacolo pisano post-guerra in una città ancora ferita. Le sue recite, tenute dapprima nei massimi teatri della città, non disdegnarono poi quelli modesti di provincia e, dopo la guerra, gli improvvisati piccoli teatri della sua città martoriata e semidistrutta. La vicinanza del teatro di Santa Caterina (poi distrutto da un furioso incendio all’epoca dei contrasti tra cattolici e fascisti nel 1931) e del Verdi ne stimolarono l’attività teatrale e di compositore, iniziata con “La ‘Onquista delle Baleari” (1935) e culminata in seguito con “La ‘asa rifatta” del 1947 e la fondazione del periodico “La Cèa” (1950-1955).

“Macèrie” è un testo che ha fatto la storia del teatro popolare tra il 1945 (anno del debutto) ed il 1955 (anno precedente alla scomparsa di Sartori) attraverso innumerevoli repliche in tutti i teatri d’Italia con straordinario successo. E sicuramente è riuscito a descrivere meglio di tanti altri testi il buio periodo di quel dopoguerra tanto che l’attuale capocomico del gruppo “Crocchio dei Goliardi Spensierati”, l’avvocato Lorenzo Gremigni, uno dei più accreditati esperti di vernacolo pisano, lo definisce a ragione un copione “sacro” per gli appassionati della nostra lingua vernacola. Eppure, lo stesso Gremigni, raggiunto da noi telefonicamente, si lamenta che “per oltre sessant’anni non ha trovato una compagnia che lo rimettesse in scena. Forse per la difficoltà di confrontarsi con interpreti del calibro di Ferrini, Podesta’ e Sartori stesso. Forse per il timore di non ottenere con una commedia che sa certamente più di Eduardo che di parodia quel facile successo che le ridanciane commedie popolari assicurano in ogni piazza”.

Macerie riemerse solo nei primissimi anni Duemila per merito del “Gruppo @lfa”, diretto dal compianto professor Luciano Blasi, nella meno impegnativa forma della lettura recitata, che anch’io ho avuto modo di ammirare in diverse occasioni.

Per fortuna la struggente e a tratti commovente storia di una famiglia pisana che in mezzo ai detriti, non solo fisici, del delirio bellico aspetta il ritorno del figlio deportato in Germania, ritorna tra noi. Questo momento così importante avverrà il prossimo Mercoledì 30 Ottobre, alle ore 21, presso il Teatro Verdi di Pisa, quando l’opera ritornerà sulle tavole di un palco scenico grazie a un gruppo di ottimi attori amatoriali delle due compagne teatrali del “Crocchio Goliardi Spensierati” e del “Gabbiano” che hanno dato vita ad una versione opportunamente ridotta. Con loro reciterà anche l’attore professionista Matteo Micheli che è pure aiuto regista a fianco del regista lucchese Nicola Fanucchi, professionista apprezzato in abito internazionale per le sue messe in scena di prosa e opere liriche, che mi ha brevemente parlato, anche lui telefonicamente, dell’opera che tra pochi giorni calcherà il glorioso palco del nostro massimo teatro cittadino.

Com’è stato, dottor Fanucchi, l’approccio a questo testo?
Quando alcuni mesi fa, mentre ero impegnato a Ginevra in un’importante messa in scena internazionale, l’allora assessorato culturale del Comune di Pisa mi propose l’adattamento teatrale di questo testo rimasi inizialmente scettico in quanto, data la mia origine lucchese, non mi ritenevo in grado di affrontare un’opera in vernacolo pisano. Accettai ugualmente di leggerlo e ne rimasi folgorato. L’ho trovato un testo straordinario che rompe l’equilibrio tra tragedia e commedia, come è del resto la quotidianità. Ho accettato di conseguenza di dirigerlo, sia pur affiancato da un pisano come Matteo Micheli, in modo da avere un sostegno nel muovermi in un così diverso contesto linguistico. Questo è un testo che nella narrazione quotidiana delle normali vicende di una famiglia semplice come tante dell’epoca contiene sentimenti profondi. Quello che succede in scena non è molto diverso dalla realtà in cui il comico serve per stigmatizzare il tragico. I personaggi sono alle prese con una ricostruzione che non è solo fisica ma morale, e riguarda anche le relazioni che dopo l’orrore bellico avranno un altro sapore, come sarà diversa la vita che il ragazzo di ritorno dalla prigionia avrà di fronte a sé, perché lui non è più lo stesso dato che in guerra ha visto la morte in faccia. L’ambientazione scenica è stringata, d’impostazione strindberghiana, e tutto si svolge nella cucina, il cuore della casa di questo microcosmo di persone che mettono davanti i doveri rispetto ai diritti, come non accade più nella nostra società in cui l’egocentrismo impera e dove, per esempio, una coppia oppressa da così tanti e grossi problemi come quella in scena, molto probabilmente si sfascerebbe. Qui, invece, l’egoismo individuale viene messo da parte e prevale il desiderio di ritrovare la felicità insieme, senza prestare attenzione a quegli psicologismi individuali dei nostri giorni che mettono in discussione programmi e azioni comuni. La coppia, al contrario di quello che accade purtroppo a tante nei nostri giorni, rimane unita e salda, non si pone domande ma ritiene scontato lavorare duramente per ricostruire un ambiente denso di relazioni umane significative dal punto di vista umano. Loro rincorrono la felicità, come tutti noi che ora crediamo di averla raggiunta con questo consumismo che con il benessere figurato ci dà solo l’illusione di risolvere tutte le nostre necessità con l’acquisto di oggetti, ma non dimenticano i valori fondamentali di solidarietà e di impegno civile. Con questi attori, alcuni dei quali provenienti dal teatro vernacolare amatoriale dove vigono diverse modalità operative, abbiamo lavorato molto bene e penso che il nostro sia un ottimo spettacolo oltre che un evento per la città. Mi auguro una degna cornice di pubblico”.

La compagine artistica che salirà sul palco possiamo quindi definirla inedita, in quanto in parte professionista e in parte amatoriale, arricchita anche dal qualificato contributo del regista Lorenzo Garzella,cui si deve la riproduzione audio di autentiche testimonianze del periodo.

 

Ecco i personaggi e gli interpreti: Dreìno, guardia del Dazio: Lorenzo Gremigni; Norina, sua moglie: Arianna Priami; Gina, loro figlia: Linda Campolo; Dolovìo, imbianchino: Matteo Micheli; la Sor’Adele, rivendugliola: Daniela Bertini; il Sor Agàpito, vecchietto arzillo: Fabiano Cambule; Norma, maestrina: Alice Bianchi; il Sor Luigi, ispettore del Dazio: Valdo Mori.

Questa storica “ripresa” era stata inizialmente programmata proprio per il 31 agosto in Piazza dei Cavalieri, ma prudenti ragioni di meteo suggerirono agli organizzatori di rinviare la rinnovata esecuzione di “Macèrie” al Teatro Verdi in altra data.

Così, il 31 agosto si svolse una “prima” nel più raccolto e accogliente Teatrino parrocchiale di Santo Stefano a Porta a Lucca, stipato all’inverosimile, alla presenza delle Autorità comunali.
L’emozione è stata la nota costante di una serata difficile da dimenticare in cui la vicenda di Dreino e Norina ha portato per un’ora e mezza l’immaginazione degli attori e del pubblico, tutti genuinamente commossi, a quei difficili giorni del 1945, realmente vissuti da tanti nostri concittadini.

Un lungo applauso ha suggellato una serata “storica” per il vernacolo, insieme alla promessa di replicare solennemente al Teatro Verdi questa insuperabile pagina di arte popolare pisana. E la promessa è stata mantenuta.

Accanto al Comune di Pisa, che col proprio contributo consente alle compagnie coinvolte di sostenere per intero il non lieve costo di affitto del Teatro Verdi, hanno sostenuto concretamente l’iniziativa la Banca Popolare di Lajatico, la società Xeel e l’editore CLD di Pontedera. Partecipano inoltre la rivista Er Tramme, la Federazione Italiana Teatro Amatori, Campano Centro Stampa, Daumiller, Ristorante Il mio Capriccio ed Euro FiSa.

L’intendimento degli organizzatori e dei sostenitori del progetto è quello di consentire ai pisani, e specialmente ai più giovani, di assistere a questo emozionante spettacolo che riassume mirabilmente una delle pagine più drammatiche della nostra identità. Di conseguenza i biglietti hanno un costo simbolico: 6 e 10 euro, con riduzione a soli 3 euro per i giovani fino a diciotto anni.

Una grande occasione per tutti per assistere ad un capolavoro di cultura pisana, e per non dimenticare. L’occasione pare proprio una di quelle da non perdere.

Guido Martinelli

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