Antonio Casalini

In questi giorni a Londra e in tutto il Regno Unito non si parla di altro. Le eterne e inconcludenti previsioni sull’evoluzione del tempo (in senso meteorologico) sono state sostituite da infiniti dibattiti televisivi (c’è un canale praticamente dedicato a questo) sulla Brexit, ma anche nei pub si possono apprezzare dibattiti accesi sulle esternazioni di Theresa May piuttosto che sulla rivalsa dei Labour. Questo clima da “E ora cosa si fa?” coinvolge veramente tutti, inclusi i ragazzi italiani che, nel recente passato, si sono trasferiti in Gran Bretagna (principalmente a Londra) per studio o, in gran parte, per cercare nuove opportunità di lavoro.

Dario, 27 anni, fiorentino doc, è nella capitale inglese da un paio di anni. Lavora nell’amministrazione di una scuola di lingue. La molla principale del trasferimento è stata la volontà di imparare seriamente l’inglese, ma anche la facilità di trovare lavoro in Gran Bretagna. “Qui”, dice Dario, “ci sono molti meno paletti. In Italia è tutto complicato e ho l’impressione che le aziende abbiamo timore ad assumere perché l’assunzione la vedono come una specie di matrimonio. Qui il concetto è diverso. Le persone, in media, ogni due-tre anni cambiano azienda. C’è movimento e quindi si creano opportunità. Un po’ all’americana, per intenderci”. Riguardo all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea Dario, come mi dice molti altri ragazzi, non ha idea di cosa accadrà nel prossimo futuro. Chi vive e lavora qui da più anni, ha la convinzione che non sarà toccato dalla Brexit, ma nessuno ne ha la certezza.

Come Diletta, pisana, 24enne. Fa la commessa in Oxford Street e anche lei ci dice di aver cambiato posto di lavoro per ben 5 volte in quattro anni. “Non mi aspettavo, nel 2016, che avrebbe vinto il Leave. Sono rimasta scioccata e preoccupata. Diciamo che a Londra nessuno si aspettava questo esito. La campagna a favore dell’uscita è stata, a mio avviso, pressapochista e permeata da una dose di xenofobia. Adesso sembra che tutti si stiano rendendo conto che la Brexit porta molti più danni che vantaggi, ma è troppo tardi e nessuno sa, a cominciare dai politici, cosa accadrà”.

David, 25enne italiano, ma di padre inglese, si sente molto coinvolto dalla Brexit. Secondo lui, gli inglesi sono molto più aperti, rispetto agli italiani, verso “il diverso” in senso lato. Però, prosegue David, i coetanei britannici non sono cresciuti con l’idea dell’Europa unita. Non ci sono bandiere dell’European Union fuori dagli edifici pubblici. Un inglese non si pone neppure il problema di doversi integrare dal punto di vista linguistico perché lui può parlare la sua lingua in tutto il mondo. Quindi, secondo David, il sentimento europeista per i britannici non esiste. Essi sono più che mai convinti di poter fare da soli e di poter anche “accogliere”, come hanno sempre fatto, al di là dell’intromissione dei burocrati europei, che qui sono visti come fumo negli occhi.

Questo ha portato all’equivoco chiamato Brexit o, come dice John Peter Sloan, conosciutissimo scrittore e cabarettista da anni in Italia: ”Chi ha votato per l’uscita dall’Europa, non avrebbe mai creduto che poi questo sarebbe successo davvero!”.

Antonio Casalini

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