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Tra legno e carne, la forza espressiva del Cristo morente a Grosseto

- Cultura
19 Giugno 2024

Era circa l’ora sesta e si fecero tenebre per tutto il paese, fino all’ora nona, essendosi oscurato il sole. La cortina del tempio si squarciò nel mezzo. E Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito”. E, detto questo, spirò.

(Luca, 44-46)

Il costato scavato, consumato avvolge il midollo del tronco di cedro del Libano che dà corpo al Cristo morente dello scultore Alessandro Laurenti: la tensione dell’uomo è raccontata dai nervi del collo, dalle vene sporgenti degli arti colti nel momento successivo al suo spirare; nel viso invece riluce l’abbandono alla fede che è certezza di collettiva salvezza. Tutto in un movimento vorticoso (seppure contenuto rispetto al progetto iniziale) che vede le gambe piegate in un gioco di pieni e vuoti, di allungamenti che travalicano ogni intento realistico per diventare espressione (dai toni spiccatamente manieristici), tragedia scolpita nel legno.

Due quintali il peso dell’opera fatta nascere da un unico tronco (le braccia sono l’unica aggiunta necessaria a completare il Gesù, inchiodato ad una solida croce), più di due gli anni di lavoro spesso interrotto. Fisicamente è una prova impegnativa il confronto col profumato e duro legno di cedro, quello che non a caso rendeva solide e celebri le navi dei fenici. Ma scavare la materia viva è una prova anche di ascolto, di capacità di accogliere rigidità da smussare, le fragilità di cui avere cura.

L’opera, che raggiunge i 4 metri d’altezza complessivi per rappresentarci un Cristo a grandezza naturale, è uscita dallo studio di Alessandro Laurenti per giungere, grazie all’aiuto del Comune di Grosseto, al Duomo dove sosterà per i fedeli e la cittadinanza fino al 30 giugno prima di lasciare la Toscana alla volta del Trentino: lì entrerà a far parte di una collezione privata di crocifissi.

Ilaria Clara Urciuoli

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