Per realizzare il sogno di fare un disco ha impiegato un bel po’ di anni. Ce l’aveva dentro da sempre, ma la musica non gli dava da mantenersi. Giampiero de Donato, livornese trapiantato a Milano, fa l’avvocato. Sposato, con due figlie, non ha mai rinunciato a suonare e scrivere dei brani. Con “Era meglio” raccoglie in note (e versi) la sua vita, le esperienze, le emozioni, gli incontri e la sua grande, enorme passione per la musica. Ce lo conferma il Maestro Piero Marras, chitarrista dei Matia Bazar, che con altri musicisti professionisti l’ha aiutato a registrare il disco. “Giampiero la musica ce l’ha dentro. La sua passione riesce ad andare oltre i limiti che può avere chi non è del mestiere. È stato stimolante lavorare con lui, aiutandolo a far uscire al meglio il suo disco. Si è creato un bel clima e ci siamo anche divertiti molto”.

Giampiero, che disco è “Era meglio”?
“Quel disco lì sono io. Era proprio quello il mio intento”.

Le contaminazioni di generi sono diverse…
“Scrivo musica fin dalle Elementari. All’inizio delle cosine… Sono cresciuto con il country rock. Poi ho fatto piano bar, dai 17 ai 22 anni. Jazz acustico elettrico, dai venti ai 25. Sono tante esperienze e stili musicali diversi che ho toccato nell’arco degli anni e che mi sarebbe sempre piaciuto raccogliere in un disco. Quando ho perso mio fratello, nell’ottobre 2018, ho deciso di farlo davvero”.

Da sinistra: Piero Marras, Giampiero de Donato, Paola Zadra, Max Comincini

Il titolo dell’album, “Era meglio”, significa qualcosa?
“È una tipica espressione livornese, vuol dire tante cose. Faccio qualche esempio. ‘Non è possibile…’. ‘Dio lo volesse…’, ‘ma cosa stai dicendo…’”.

Ci puoi spiegare la copertina, fatta con tante piccole foto, ne ho contate trenta.
“C’è un po’ tutto di me, momenti belli e brutti. Luoghi per me simbolici, gli amici migliori, la moto da corsa, con la radiografia della mia mano rotta (con il rischio di non poter più suonare il piano), le dita sulla tastiera”.

Veniamo ai brani…
“Sono undici. Ogni nota esprime me stesso. Mi hanno aiutato musicisti professionisti di grande spessore e generosità: hanno assecondato le mie scelte, senza snaturare la mia idea. Mi hanno fatto capire cosa si poteva e cosa non si poteva fare, ma hanno sempre voluto che fosse mio il disco, mia la musica”.

Alcuni brani sono in inglese, perché?
“Sono cresciuto con i dischi americani e ho acquisito quelle sonorità: mi viene più facile cantare in inglese”.

Mi ha colpito “ir Bravino der bao”…
“Noi livornesi siamo più viscerali dei napoletani, per certi versi. Nello specifico questo brano racconta la mia adolescenza intensa a Livorno. Sulla copertina si vede anche ir Bravino, rosso”.

Marco Trifone e Stefano Castrignanò
Marco Trifone e Stefano Castrignanò

Nel brano Danilo si sente solo musica.
“L’ho dedicata a Domenico, amico, testimone di nozze, fratello. Inizia presentando lui e suo fratello Danilo, due studenti universitari fuori sede, entrambi fan di Pat Metheny. Poi l’incidente stradale che porta via Danilo, l’angoscia incredula di Domenico, il dramma che sconvolge la famiglia e gli amici. E, lentamente, la vita che riprende, sia pure a fatica”.

Cosa sono, per te, le canzoni di “Era meglio”?
“Sono come figli, a tutti gli effetti”.

Ascoltando il disco mi è parso di avvertire una certa saudade? Se ho colto bene il senso, ci potresti spiegare nostalgia di cosa?
“Dei tempi passati direi, dell’aspetto emotivo dell’adolescenza, periodo in cui non sono mai stato spensierato. Ecco, se c’è una saudade che emerge dal disco è rispetto alle emozioni di quel periodo”.

Vorresti ringraziare qualcuno per il tuo disco?
“Tutti quelli che mi hanno aiutato a realizzarlo. Piero Marras (chitarre), Paola Zadra (basso), Max Comincini (batteria e tecnico del suono), i cantanti Marco Trifone e Stefano Castrignanò. Poi un’altra persona…”

Chi?
“Veronica, mia moglie, che come ho scritto nella copertina mi ha rotto le p… (sorride) finché non ho fatto il disco”.

Per ascoltare e acquistare il disco

 

“L’ombra mi è piaciuta molto da subito: è sul retro della copertina”
“Questo scatto ha una storia. Ho fermato una fotografa a Loreto (metro di Milano) e a Rovereto c’era già la foto”

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