Ilaria Clara Urciuoli

Una, nessuna, centomila Artemidi al Museo Archeologico e di Arte della Maremma nella mostra visitabile fino a 5 novembre che proprio dal romanzo di Pirandello prende il nome. Il percorso espositivo si incentra sul tema della copia, tanto nelle sue accezioni antiche quanto in quelle prettamente contemporanee.

Rispecchiano questa dicotomia le due sale, una dedicata alle copie in marmo realizzate tra il primo secolo avanti Cristo e il primo dopo Cristo a partire da un’Artemide bronzea di Segesta che Verre portò a Roma sottraendola con avventure degne di nota alla provincia, l’altra che traghetta la dea nella realtà virtuale grazie al lavoro del digital artist Cristian Dessi.

Protagonista di queste riproduzioni è dunque Artemide, dea della caccia, custode della verginità e della purezza eppure, in quanto governatrice della fertilità femminile, protettrice delle giovani spose e delle partorienti. Di questa dea casta nel suo lungo chitone parzialmente coperto dall’imation, fiera nel suo sorriso arcaico e nel passo deciso che la contraddistingue, sono proposte quattro copie, tre delle quali prestiti dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dal Museo Archeologico Nazionale di Venezia e dal Museo Nazionale Romano, mentre la quarta, l’Artemide acefala frutto di un ritrovamento in quella che potrebbe essere una villa imperiale a Castiglione della Pescaia, è conservata presso lo stesso museo grossetano.

Il visitatore può perdersi alla ricerca delle differenze (nelle copie spesso più interessanti delle analogie) e farsi guidare nelle storie che le singole statue celano, come nel caso della copia proveniente da Roma, trovata durante uno scavo clandestino nei pressi di Caserta nel 1994 e subito piazzata da mercanti svizzeri cui era stata ceduta sui mercati giapponesi e americani, prima del suo ritorno nel 2001 in Italia grazie al lavoro del Nucleo Tutela Patrimonio Artistico dei Carabinieri.

Artemide (Artume per gli etruschi, poi Diana per i romani) è secondo la sensibilità moderna divinità certo più che adatta a raccontare la Maremma, territorio oggi scelto dai turisti per i suoi aspetti naturalistici (oltre che per i suoi affascinanti borghi medievali) e in epoche precedenti riserva di caccia di imperatori e duchi. D’altra parte i resti evidenziano in quest’area una venerazione per la dea di cui i romani qui insediati ci hanno lasciato traccia in località Scoglietto presso l’Alberese grazie ad alcuni frammenti marmorei in cui si fa riferimento a “Diana Ombronensis” (sottolineando il legame con il locale fiume Ombrone) e, già prima di loro, anche gli etruschi di Roselle.

Se nella prima sala vige il “guardare ma non toccare” l’utente più curioso potrà spostarsi nella seconda dove, grazie alla realtà aumentata, potrà afferrare la copia digitale dell’Artemide acefala, spostarla, colorarla, scriverci sopra e addirittura aggiungerle parti mancanti, potrà insomma osservarla da prospettive inusuali e direi anche giocare con quella copia. Che possa essere questa una soluzione da proporre al Colosseo contro i turisti-teppisti troppo desiderosi di lasciare la propria firma nella storia?

Ilaria Clara Urciuoli

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