L’ottima stagione teatrale pisana del Verdi nello scorso fine settimana ha registrato la messa in scena di un classico: Zio Vanja di Anton Cechov (1860-1904). L’opera esordì a Mosca nel 1899 senza ottenere subito quel consenso unanime che successivamente prese ad annoverare fino ai nostri giorni.

La storia si svolge in una tenuta di campagna amministrata da Ivan Petrovie Vanja (Giuseppe Cederna), dove vivono sua nipote Sonja Alexandrovna (Caterina Misasi), l’anziana madre vedova Marija Vasilevna (Mimosa Campironi), il possidente caduto in disgrazia Ilja Teleghin (Massimo Grigò), spesso visitati dal dottor Michail Astrov (Pietro Bontempo). La monotonia di giorni sempre uguali e privi di prospettive è rotta dal ritorno del proprietario, professor Aleksandrov Serebrjakov (Alberto Mancioppi), padre di Sonja, insiema alla seconda moglie, la giovane e bella Elena Andreevna (Elisabetta Piccolomini).

Sono personaggi semplici, un po’ bislacchi, che conducono una vita inerte, a tratti frustrante, priva di grandi gioie e sentimenti importanti, un po’ simili alle vite di tanta gente comune dei giorni nostri. L’arrivo della bella Elena risveglia i sensi di Vanja portandolo ad insidiare senza successo la giovane, anch’ella insoddisfatta e semmai più interessata all’amorfo dottor Astrov, amato da Sonja senza speranza.

La situazione precipita quando il professore, che rivela sempre più la sua inconsistente  pomposità, con il proposito di vendita della proprietà suscita le rimostranze di Vanja, giustamente timoroso di perdere la residenza per sé e gli altri, che reagisce con violenza impugnando persino una pistola. Il dramma, però, non si compie; il vaudeville, così congeniale all’autore, lo impedisce, e alla fine ogni cosa riprende il suo corso con l’addio dei due “demoni”, per dirla col critico Angelo Maria Ripellino, che restituiscono al luogo e ai suoi abitanti la loro apatica esistenza con prospettive e speranze che la delusa Sonja affida addirittura ad una vita ultraterrena.

Una storia che fa riflettere sulle frustrazioni e delusioni che l’esperienza terrena riserva a tutti noi, e una messa in scena dell’Associazione Teatrale Pistoiese Centro di Produzione Teatrale che l’attento e puntuale Roberto Valerio ha adattato e diretto volendola spoglia e vivacizzata solo da alcuni oggetti simbolici e funzionali alla decrizione della psicologia di questi personaggi universali e ancora attuali avvalendosi anche dei costumi di Lucia Mariani, delle luci di Emiliano Pona e del suono di Alessandro Saviozzi.

Apprezzamento del pubblico per un’opera e una rappresentazione che non lascia indifferenti.

Guido Martinelli

Foto: Fondazione Teatro Verdi di Pisa

Scrivi un commento