Ilaria Clara Urciuoli

È un salto di quasi millecinquecento anni quello che ci apprestiamo a fare nel visitare la mostra “Una terra di mezzo. I longobardi e la nascita della Toscana“, visibile fino al 6 gennaio 2022 presso il MAAM (Museo Archeologico e d’Arte della Maremma) a Grosseto. Millecinquecento anni che, vissuti a ritroso, ci danno il senso dell’identità nostra nazionale, regionale e locale. La Seconda Repubblica, gli anni di piombo, la Costituente, la Resistenza, la Seconda e la Prima Guerra Mondiale, l’Unità d’Italia e via a seguire incontrando i Medici e il tanto celebrato Dante, poi Carlo Magno, quindi loro, i Longobardi, e ancora Bizantini e Goti. Aiutati da un pannello che ricostruisce cronologicamente le tappe principali di questo viaggio in un’Italia appena traghettata nel primo Medioevo, togliamo un po’ di polvere dalla nostra memoria e ci lasciamo avvolgere dalle innumerevoli suggestioni. Ciò che andiamo via via scoprendo è la traccia tangibile di quelle migrazioni barbariche (un tempo definite invasioni), di quel frammento di storia che vede il lento sgretolarsi dell’Impero Romano d’Occidente in tanti regni romano barbarici che diedero nuova (o meglio nuove) identità alla penisola e oltralpe.

La mostra apre su quella che è la situazione in Italia all’arrivo dei Longobardi. La lunga guerra greco-gotica è terminata da poco e l’imperatore d’Oriente Giustiniano ha finalmente riconquistato la penisola italica presa qualche decennio prima dagli Ostrogoti di Teodorico con l’avallo di un altro imperatore, Zenone. La fama dei generali che hanno fatto l’impresa (Belisario e Narsete) e la durata della guerra (quasi venti anni) ci indicano quanto dura sia stata e impegnativa questa vittoria che lascia dietro di sé una popolazione stremata come la stessa economia del territorio. Non è difficile per i Longobardi, popolo proveniente dalla penisola scandinava noto per lo spirito guerriero, insediarsi in questa terra, tra questa gente stanca di guerre: è il 568 quando re Alboino guida il suo popolo verso Forum Iuli (oggi Cividale del Friuli) e poi scende lungo la penisola. Avanza facilmente, senza però riuscire a imporsi in una cintura di terra (corrispondente alle attuali Romagna e Marche con un necessario prolungamento verso Roma), domino fondamentale per i Bizantini.

Le suggestioni sono tante: un braccialetto con monete e perline in vetro giace accanto allo scheletro di una donna che presenta le ossa del cranio allungate, pratica dei popoli germanici che permetteva di riconoscere gli appartenenti alla nobiltà. Ci sembra così di immaginare quella figura robusta mentre cammina e ride così come ci sembra di immaginare il re longobardo Agiulfo omaggiato della lamina che lo raffigura vincitore forse su papa Gregorio Magno. Percepiamo, dietro gli oggetti esposti, la presenza di quella storia fatta di persone e di equilibri sempre pronti a saltare: le incisioni in tardo latino presenti su un piatto e un bicchiere donati a un goto ci fanno pensare a questa convivenza tra romani e “barbari”, convivenza fatta di momenti sereni e di altri tanto tesi da indurre i proprietari a sotterrare questo tesoro; il Padre nostro in lingua germanica che ascoltiamo durante la visita ci fa riflettere sull’importanza che ebbero in quei secoli il cristianesimo e le sue eresie (prima tra tutte l’arianesimo molto diffuso tra i germani), alle lotte che ben presto si determinano. Suggestioni dunque che riescono a renderci attuale una storia lontana: già per questo dunque la visita meriterebbe di essere parte integrante del programma scolastico.

Ci imbattiamo in una serie notevole di resti che ci arrivano da diverse realtà: collocarli in un’unica sala è mettere insieme pezzi di un puzzle che va a comporre un territorio che viaggia su binari temporali paralleli, il ducato (longobardo) di Tuscia e l’attuale regione Toscana, quasi coincidenti se oggi includessimo una striscia corrispondente al Lazio settentrionale. La mostra è arricchita da due video: un accattivante racconto di Maria Angela Galatea Vaglio che ci parla di tre importanti figure, quelle di Alboino (re che porta i longobardi in Italia), di Teodolinda (regina molto amata dal suo popolo e, in quanto cattolica, primo anello di congiunzione con il Papa) e di Paolo Diacono (al quale dobbiamo molte delle informazioni, da lui raccolte nell’Historia Langobardorum); l’altro video affronta invece il tema del vestiario longobardo ricostruito grazie a uno studio dell’associazione La Fara che ha riprodotto anche i due abiti presenti nella mostra.

Una proposta interessante anche perché diversa in una Toscana spesso concentrata sul periodo etrusco o rinascimentale, per i non addetti ai lavori uno stimolo per conoscere una parentesi importante ma poco frequentata della nostra storia.

Ilaria Clara Urciuoli

 

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