“Non è giusto, non ho fatto nulla”, dice Fausta Bonino uscendo dal Tribunale di Livorno, poco dopo essere stata condannata all’ergastolo, il massimo della pena, per la morte di quattro persone all’ospedale di Piombino, avvenute tra il 2014 e il 2015. Morti sospette, che avevano destato molto clamore, rispetto alle quali, dopo mesi di indagini, si arrivò alla svolta, con l’arresto dell’infermiera. Per altri sei casi la donna è stata assolta assolta perché il fatto non sussiste.

La Bonino, condannata con il rito abbreviato, era accusata di omicidio volontario plurimo, per il quale la procura aveva chiesto l’ergastolo. L’infermiera ha sempre proclamato la propria innocenza e, tramite i propri legali, ha sostenuto la tesi dell’impossibilità tecnica del proprio coinvolgimento per nove pazienti deceduti, chiedendo pertanto l’assoluzione (per l’altro caso richiesta formulata perché il fatto non sussiste). “Certamente faremo appello”, ha detto l’avvocato Cesarina Barghini, aggiungendo di essere sorpresa per il “frazionamento dei casi”. Ha poi aggiunto che “il giudice ha considerato solo i quattro decessi in cui i campioni sono stati esaminati a Careggi dove era stato trovato anticoagulante. Di questi quattro due erano già stati scartati nella ricostruzione in sede di incidente probatorio. Quindi solo la motivazione della sentenza ci potrà far capire come il giudice sia arrivato a questa conclusione… La sentenza lascia insoddisfatti un po’ tutti, forse anche lo stesso pm, perché smonta tutti i criteri del suo impianto accusatorio e pure le parti civili costituite, che sono rimaste escluse”.

L’infermiera era finita in manette il 30 marzo 2016, all’aeroporto di Pisa (mentre rientrava da una vacanza con il marito), con l’accusa di aver causato la morte di 13 pazienti (poi saliti a 14 e, a chiusura indagini, ridottisi a dieci), avvenuti nel reparto rianimazione dell’ospedale di Piombino, dove la Bonino lavorava. Secondo gli inquirenti a causa la morte, improvvisa, sarebbe stata la somministrazione di forti dosi di eparina, un farmaco anticoagulante che, tra l’altro, non risultava prescritto dai medici a tutti i pazienti che poi erano morti. L’infermiera fu poi scarcerata dal tribunale del riesame, il 20 aprile 2016. Le indagini andarono avanti e furono chiuse nel giugno 2018, con il rinvio a giudizio della donna, per la morte di dieci pazienti, mentre per gli ultimi tre decessi fu indagato (e lo scorso gennaio è stato rinviato a giudizio) il primario del reparto di anestesia e rianimazione, Michele Casalis, con l’accusa di omicidio colposo e di non aver vigilato sufficientemente sul rispetto dei protocolli terapeutici da parte del personale.

Foto: Dagospia

Autore

Scrivi un commento