Alessandro Consani

Il 25 aprile 1945 Sandro Pertini proclamò lo sciopero generale contro l’occupazione tedesca. Arrendersi o perire era la parola d’ordine di quei giorni intimata dai partigiani in attesa dell’arrivo delle truppe alleate. Tempo fa ho ritrovato dei vecchi appunti di mio nonno Carlo, che in quello stesso giorno era a casa, ad ascoltare l’annuncio della fine di un incubo che cercò poi di raccontare sotto forma di diario. Al di là della ricostruzione storica, gli scritti di mio nonno, messi giù in maniera semplice, con alcune espressioni dialettali, rappresentano sentimenti comuni a chissà quanti giovani strappati alle loro famiglie per andare a combattere guerre lontane. Si tratta di aneddoti, impressioni, ricordi di persone e luoghi, paure, speranze. Tutte le sofferenze patite dal giorno della partenza per il servizio militare, il 10 gennaio del 1941, fino alla licenza ottenuta “grazie” alle ferite riportate in un bombardamento, sono raccontate in questi pochi fogli che in famiglia custodiamo ancora e che penso meritino di essere conosciuti.

Quando mio nonno, Carlo Consani, partì, faceva freddo a Calci. Lasciava una famiglia numerosa per la quale lui era l’unico sostentamento: nel suo diario racconta che riusciva a guadagnare 14 lire al giorno e fu una vera sofferenza sopravvivere senza di lui. Il giovane Carlo, appena ventenne, fu affidato al 14° Battaglione Carristi di Parma. Finito l’addestramento il 14° Battaglione 3ª Compagnia 3° Plotone fu destinato alla campagna in Russia, per la quale l’esercito italiano aveva in dotazione la divisa da combattimento grigioverde. Prima della partenza il Generale Ugo Cavallero, capo di stato maggiore generale, fece un discorso rivolto al battaglione encomiandolo per la missione che stava
per compiere in difesa della patria. Alla fine comunicò ai soldati che c’era stato un cambio di programma e che il battaglione sarebbe partito per l’Africa. Al termine del discorso, alla domanda se ci fosse qualcosa da chiedere, mio nonno alzò subito la mano, reclamando il bisogno di fare visita ai familiari prima di partire per il fronte. Fu così, che cambiate le divise in quelle color cachi, destinate appunto al fronte africano, a tutto il battaglione furono concesse 24 ore di permesso. Il nonno racconta che ovviamente non potevano essere sufficienti per percorrere la tratta da Cuneo a Pisa, e infatti lui ed altri commilitoni pisani tornarono alla base dopo 36 ore. A Torino, durante il viaggio di ritorno, furono fermati dalla Polizia e interrogati da un maresciallo siciliano circa i motivi del loro ritardo. Alla domanda: “Dove state andando?”, il giovane Carlo rispose con tono sicuro : “Segreti di guerra. Non posso aggiungere altro. Mandateci via, che andiamo a difendere anche voi!”.

Per arrivare a Tripoli il viaggio fu lungo. Partito da Cuneo arrivò in treno fino a Napoli; da lì via mare a Palermo e da Castelvetrano con un aereo raggiunse la sua divisione “Ariete”, destinazione Africa settentrionale. Passarono lunghi periodi incolonnati sui carri al comando del tenente Giorgio Fornaciari, affrontando momenti difficilissimi in cui la nostra artiglieria era palesemente inferiore a quella del nemico. Combattevano nel Regio esercito, per la patria, affrontando ogni battaglia con coraggio e la tacita speranza di tornare un giorno a casa. Nonno Carlo racconta nei suoi scritti di aver visto molti compagni letteralmente inceneriti nei carri, mutilati, feriti a morte, scene che io ho soltanto visto nei film. Lui si trovava lì, sui campi di battaglia e ha vissuto questa orribile esperienza sulla sua pelle; mentre leggo il suo diario cerco di immaginarlo e allo stesso tempo lo ricordo negli anni 70, quando ero bambino ed ascoltavo i suoi racconti.

Carlo Consani è il terzo in alto a destra. Nella foto in alto è il primo a destra in basso

Nel diario c’è una data importante: il 22 novembre 1942, ore 12. Incolonnata in direzione della città di Ghat la divisione Ariete subì una raffica di colpi e stavolta anche il carro di Carlo fu colpito. Il pilota rimase senza un braccio, il marconista ferito a entrambe le braccia, il tenente comandante morì subito. Mio nonno saltò fuori dal carro ferito alla gamba destra e trovò riparo in una buca finché non cessò il fuoco nemico. Fu soccorso da tre compagni che lo presero in braccio a turno per circa trenta chilometri, poi, esausti, dovettero lasciarlo per andare a cercare aiuto. Per tamponare la copiosa perdita di sangue si cosparse di sabbia del deserto e si addormentò stremato, finché non udì delle voci sconosciute. Proprio così le descrive, incomprensibili, lontane come in un sogno. Aprì gli occhi debolmente e vide di fronte a sé una carovana di Arabi, presumibilmente Tuareg. Dopo una iniziale paura si rese conto che erano persone “perbene””. Fu accolto in una tenda, gli fecero bere del latte di cammello e lo avvolsero in un mantello. Dopo un paio di giorni le sue condizioni peggiorarono, aveva la febbre alta. I nomadi del deserto decisero di caricarlo su di un somaro e di portarlo in salvo verso Gabes, al confine con la Tunisia. La notte faceva molto freddo, la febbre era ancora alta, il giovane Carlo non aveva altro modo che riscaldarsi con la sabbia, cercando di resistere, finché all’alba del 25 novembre sentì il rumore di un calessino che si avvicinava.

Si trattava di soldati inglesi che lo caricarono su, accanto ad un altro ferito tedesco, che dopo poco morì. La borraccia del tedesco conteneva un liquore che per un attimo gli ridette un po’ di vigore e soprattutto un filo di voce che per le ferite e gli stenti era venuta a mancare. Ma fece appena in tempo a riprendersi che gli inglesi iniziarono a torturarlo per estorcergli informazioni circa l’entità dei carri armati italiani. Nel suo diario parla di torture alle parti intime e alla gamba ferita, fino a farlo svenire e poi, esattamente dalle sue parole: “Appena rinvenuto cominciarono con gli orecchi, me li torcevano come si fa fare a un “salcio”, e io dolori, dolori”. Il nonno non parlò, anzi chiese di fare la fine del tedesco, per smettere di patire e finalmente fu lasciato in pace. Dopo poco sopraggiunsero delle camionette italiane che lo liberarono e trasportarono all’ospedale di Gabes prendendo in ostaggio i due inglesi che furono consegnati ai Bersaglieri. Lì ricevette le prime cure. Fu subito operato, per estrargli dalla gamba tre grosse schegge, dopodiché fu trasferito a Tripoli in un campo dove, riportando le parole di mio nonno, “si respirava un brutto odore di carne umana”.

A quel punto, date le condizioni precarie di salute, tentò di tutto per tornare a casa ed ottenne di essere trasportato in Italia con un aereo tedesco. Dovette firmare una dichiarazione liberatoria e il 24 dicembre 1942 l’aereo decollò in direzione Roma, ospedale militare Celio. Lui era nudo, in barella, accompagnato da due soldati ed un tenente. Sfortunatamente durante il volo furono intercettati da una squadriglia inglese, che li costrinse a cambiare rotta; a causa di questo dirottamento finirono il carburante e dovettero fare un atterraggio di fortuna in un campo vicino a Trapani. Il giorno di Natale una scala a pioli di contadini siciliani permise al nonno ed agli altri componenti dell’equipaggio di scendere dall’aereo per raggiungere l’ospedale di Trapani. Fino a Marzo del 1943 rimase in ospedale ricevendo tutte le cure di cui aveva bisogno; aveva persino iniziato ad ascoltare le notizie alla radio ogni volta che gli era possibile, tanto che un giorno apprese che gli inglesi avevano occupato Pantelleria e Linosa. Ebbe paura di rimanere prigioniero e fece di tutto per ottenere il nulla osta per raggiungere l’ospedale di Palermo. Lì gli furono dati due mesi di convalescenza e fu inviato all’ospedale di Livorno. Dopo 6 mesi trasferito a Lucca e finalmente lo misero in licenza, in attesa del congedo.

Era il 10 novembre del 1943 quando ottenne il congedo assoluto con la 4ª categoria di invalidità. Nel 1953 ebbe l’onore di fregiarsi del Nastrino di guerra di Libia del 31° Reggimento Carristi di Siena perché, come conclude mio nonno nelle ultime righe del suo diario, “eravamo combattenti della divisione corazzata Ariete Littorio e mi firmo: data 17/02/1998 Carlo Consani”.

Alessandro Consani

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