Un argano: una gabbia scende nel buio rumoroso dei cunicoli; è la stessa che ci farà risalire. La storia della Toscana è costellata di appuntamenti con le miniere: i primi sembra risalgano al Neolitico (o poco dopo) quando il rame delle Colline Metallifere nel sud della nostra regione venne utilizzato per l’ascia di Ötzi (che viveva o quanto meno moriva sul Similaun circa 5300 anni fa); seguendo una linea temporale arriviamo facilmente ai nostri giorni con l’esame (condotto nel 2023) sulla possibilità di riaprire alcune miniere dalle quali estrarre materiali oggi preziosi per favorire una transizione ecologica e tecnologica un po’ più made in Italy.
Ma quell’argano in questi giorni si muove per ricordare il buio che abbiamo vissuto ottanta anni fa a Niccioleta, frazione di Massa Marittima costruita nel 1933 dalla Montecatini – Società Generale per l’Industria Mineraria e Chimica, paese fermo ancora oggi nella sua architettura tipica dei villaggi minerari che nella realtà spaziale fissavano necessità pratiche e distanze sociali. Le vite degli abitanti hanno ruotato per anni intorno a quei pozzi e tunnel e ai loro padroni: gli uomini scendevano e salivano, durante la guerra controllavano quell’antro, lo proteggevano dalla distruzione del nemico in ritirata; le donne lavavano, cucinavano, senza scendere negli inferi erano impiegate anche loro nella miniera o nella villa del signore. In quelle poche vie affidate alla protezione di Santa Barbara tra il 13 e il 14 giugno 1944 iniziava “l’estate di sangue” toscana.
Allo sgombero di Roma era seguita nel maggio la ritirata nazifascista verso nord. L’ordine sempre più impellente era recidere il legame tra popolazione e partigiani che intanto, il 3 giugno, giungevano accolti nel villaggio. I fascisti locali furono costretti ai domiciliari ma a uscire e parlare furono le loro mogli. Quando i 300 tra soldati tedeschi e milizie fasciste entrarono in paese la mattina del 13 giugno i partigiani erano ripartiti ma vennero presi e subito uccisi sette uomini ritenuti loro collaboratori: Baffetti Rinaldo, Barabissi Bruno, Chigi Antimo, Sargentoni Ettore, Sargentoni Ado e Sargentoni Alizzardo. Uno si salvò scappando nella macchia: era Giovanni Gai.
I nazifascisti intanto trovavano i turni di coloro che dovevano proteggere la miniera da una possibile distruzione voluta dal nemico in ritirata e rastrellarono il villaggio: a sera erano circa 120 le persone che giunsero a Castelnuovo. Di questi 77 avrebbero trovato la morte il giorno dopo.
A ricordare questo episodio e tutta la storia del paese il cortometraggio di Irene Paoletti “Niccioleta. Sopra e sotto la terra” che ha fatto di questo evento il perno per una storia che racchiude in sé un prima e un dopo, una radice e un futuro da rinnovare giorno dopo giorno, ancora oggi. Protagonista infatti del racconto è proprio il minatore Gai, preso mentre era di guardia e guida per noi verso la salvezza. I suoi silenzi accarezzati dalle musiche originali di Emanuele Bocci ci hanno condotto grazie ai numerosi flashback alla scoperta delle origini del luogo, della vita di miniera, traghettandoci poi oltre, in un finale intimo e poetico, nella luce degli anni ’70, di una nuova attività (la miniera chiuderà nel 1992), di nuovo fiduciosi.
Il corto, finanziato dal Parco Nazionale della Colline Metallifere e vincitore del “Premio Nuovo Imaie 2023”, è una lettura poetica, ricca di simboli (primo tra tutti lo stesso argano). Non manca tuttavia di attenzioni agli aspetti realistici grazie al supporto nella ricostruzione storica del docente dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, Riccardo Zipoli, autore del volume “Niccioleta. Fotografie e memorie di una comunità mineraria”. Alla comunità e alle istituzioni che la rappresentano il compito ora di disegnare un futuro nuovo a più di trent’anni dalla chiusura della miniera, affrontando nuove difficoltà, valorizzando vecchie risorse.
Ilaria Clara Urciuoli