Roberto Riviello

Nei primi anni Sessanta il Natale, almeno a Potenza, era sempre annunciato dagli zampognari che venivano a suonare le loro canzoncine sul pianerottolo di casa; ed era puntualmente accompagnato da abbondanti nevicate. Impensabile, a quei tempi, un Natale senza i suoni penetranti delle zampogne e senza la coltre di neve che trasformava le discese cittadine in magnifiche piste per i nostri slittini. E poi c’era il rito del presepe, che nel Sud impegnava i capifamiglia e i bambini almeno una o due settimane prima della fatidica notte.

bambini potevano scartare i pupi e al massimo assistere alla creazione del presepe nelle sue varie fasi; ma chi decideva l’architettura del paesaggio e la posizione dei personaggi era unicamente il padre o, in certi casi, il nonno. Le madri, le zie, le nonne e le sorelle avevano compiti di altra natura: soprattutto la cucina e gli addobbi della casa.

L’albero di Natale – se ricordo bene – arrivò in seguito, come pure l’usanza dei regali: a noi bambini di allora i regali li portava la Befana, il Natale era una festa soprattutto religiosa, e poi di natura dolciaria. A casa nostra non si usava andare alla messa la notte della Vigilia, anche perché fuori c’era mezzo metro di neve e non era semplice camminare per strade poco illuminate. Ma c’era comunque un’atmosfera molto religiosa in quell’attesa della mezzanotte, che segnava simbolicamente la nascita del Bambino Gesù.

Io non credo che avessimo la televisione in quei primi anni Sessanta; in ogni caso, anche se c’era, stava certamente spenta la sera di Natale. Perché la festa era tra di noi, in famiglia, coi nonni ancora vivi, il babbo, la mamma, gli zii, i cuginetti. Ricordo quel tavolo della sala da pranzo, di legno scuro, che per l’occasione si allungava e si allargava quasi magicamente, e poteva mettere sedute davvero tante persone: ma come facevamo a starci tutti?

Il momento clou era quando stava per scoccare la mezzanotte: allora lasciavamo le cartelle della tombola coi fagioli secchi per segnare i numeri e ci mettevamo tutti davanti al presepe. Qualcuno distribuiva i bengalini che venivano accesi con fiammiferi di legno e quando la stanza, spente le luci del lampadario, era illuminata solo dalle lucine azzurre del presepe e dalle scintille odorose dei bengalini, entrava nonno Nicola che, con la solennità di un sacerdote in giacca e cravatta, portava nel palmo della mano il Bambino Gesù e lo deponeva delicatamente nella grotta, tra San Giuseppe e Maria, il bue e l’asinello.

Il tempo di cantare “Tu scendi dalle stelle” e i bengalini si erano già spenti. Ma il Bambino era nato, e il miracolo del Figlio di Dio fattosi uomo era stato celebrato nell’intimità di una famiglia lucana. Non è vero che Cristo si è fermato a Eboli.

Roberto Riviello

 

 

Foto: Wikipedia

Autore

Scrivi un commento