La frutta più buona, si sa, è quella che si raccoglie già matura dall’albero e si mangia subito. Ovviamente è un privilegio per pochi, visto che le esigenze economico-commerciali impongono di raccoglierla ancora acerba, facendola poi maturare in cassetta, in attesa di finire sui banchi dei mercati, nei negozi o nei supermercati. Al di là della bontà vi sono differenze anche a livello nutritivo. Ma tra poco anche i frutti meno ricchi di proprietà benefiche potranno irrobustirsi, con grandi benefici per la nostra salute. In che modo? Tramite le radiazione ultraviolette, ad esempio, nascerà la “superfrutta”, particolarmente ricca di antiossidanti.

Un gruppo di studiosi del Dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali dell’Università di Pisa, coordinato dalla professoressa Annamaria Ranieri, da anni studia gli effetti benefici delle radiazioni ultraviolette sulla frutta per cercare di mettere a punto prodotti con alto valore nutraceutico. L’ultima ricerca, in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, l’University of Natural Resources and Life Sciences di Vienna e il Leibniz Institute of Vegetable and Ornamental Crops tedesco, si è concentrata sulle pesche.

“È noto da tempo – ha spiegato la professoressa Ranieri – come nella frutta il contenuto di composti benefici quali fibre, sali minerali, vitamine e sostanze antiossidanti dipenda da diversi fattori, tra cui la qualità e la quantità di luce che ricevono, in particolare, la componente B della radiazione ultravioletta (UV-B) riveste un ruolo fondamentale, dunque la nostra idea è stata di impiegarla sui frutti già raccolti riprogrammando così la loro capacità di produrre molecole nutraceutiche”.

Ma come viene trattata la frutta? Nulla di particolarmente strano. Viene messa in alcune celle climatiche dove è possibile esporla ai raggi UV-B. Dopo l’analisi molecolare è emerso che i raggi UV-B attivano specifici geni coinvolti nella sintesi di diverse classi di composti fenolici. Nel caso delle pesche, ad esempio, come ha spiegato il dottor Marco Santin, “dopo 36 ore di esposizione c’è stato un notevole aumento di antocianine, idroflavonoli e flavoni, che tra tutti i polifenoli sono quelli che manifestano le maggiori capacità antiossidanti“.

Ma la “superfrutta” si potrà creare solo in costosi laboratori? No, anche in serra e su larga scala, assicurano dai laboratori pisani.

Foto: unipi.it

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