Quasi dieci mesi in carcere, dal 21 dicembre dell’anno scorso. Poi il Tribunale del Riesame ha accolto la richiesta della difesa concedendo gli arresti domiciliari (con il braccialetto elettronico) a Giacomo Franceschi, il 38enne accusato di aver appiccato il fuoco che il 24 settembre 2018 devastò i Monti pisani, riducendo in cenere 1200 ettari di boschi, con gravi danni per il territorio e disagi la popolazione. Accusato di incendio boschivo e disastro ambientale, Franceschi è stato rinchiuso dapprima al Don Bosco di Pisa, poi, nell’ultimo periodo, nel carcere di Prato.

Al processo verranno ascoltati tutti i testimoni indicati da accusa e difesa. L’avvocato Mario De Giorgio ha precisato che la scelta della pubblica accusa di chiedere il giudizio immediato, rifiutando il passaggio dal gup, “non implica, di per sé, l’evidenza della responsabilità dell’imputato, che dovrà invece essere provata, al di là di ogni ragionevole dubbio, dal pm nel corso del processo”.

Franceschi nega con forza di essere lui il piromane, anche se la sua versione dei fatti evidenzia dei buchi. A partire dalla sua presenza sui luoghi del disastro, rilevata grazie alla geolocalizzazione del suo smatphone tramite Google Maps. Sarebbe stato sui luohi dove si presume sia divampato l’incendio prima delle 22 di quella maledetta sera di settembre.  Lui al magistrato che l’ha interrogato ha raccontato di essere stato colpito da un attacco di panico e, per stemperare la tensione, di aver bruciato i fili della sua tuta e uno scontrino che aveva in tasca. Da lì potrebbe essere nato tutto.

 

 

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