La foto che Francesco Gerardi ha condiviso nella chat dei Pisani al Nord, con il suo bimbo che si diverte sull’erba davanti alla Torre di Pisa, è molto tenera e trasmette il profondo legame con le proprie radici. Così abbiamo chiesto a Francesco, attore di professione, residente da tempo a Venezia, di raccontarci un po’ della sua vita lontano da Pisa, del suo bimbo e del suo legame indelebile con la nostra città.

Francesco, ci vuoi raccontare quel momento davanti alla Torre?
Dopo qualche giorno di vacanza in Maremma ci siamo fermati a Pisa qualche giorno per andare a trovare mia mamma. Qualche giorno prima avevo sentito una mia amica per sapere se era in città e in caso prenderci un aperitivo per farle conoscere mio figlio Zeno, che ha 10 mesi, è nato a Venezia e non era mai stato a Pisa. Lei mi ha detto che era in Sardegna con la famiglia e ha aggiunto: “Come pediatra non posso consigliarti di fargli fare un bagno in Arno, ma una bella strusciata sul prato sotto la Torre, quella sì”. Da lì è scattata l’idea. Una volta a Pisa sono andato in piazza del Duomo con Zeno, mia moglie e mia madre e lì ho fatto questo rituale per attaccare un po’ di pisanità al bimbo, una bella gattonata sul prato sotto la Torre.

A Pisa hai parenti?
Ho ancora mia madre e alcuni miei zii. Purtroppo il lavoro mi ha portato lontano già da diversi anni. Portarci mio figlio per la prima volta è stata un’emozione unica, anche perché mi sento profondamente pisano.

Qual è il primo ricordo che hai di Pisa? Magari proprio la Torre quando anche tu eri piccolo? In che zona di Pisa vivevi?
I miei primi ricordi di Pisa sono legati alla Stazione e al deposito delle ferrovie. Mio padre era macchinista e ricordo che spesso capitava che con mia madre andassimo a prenderlo a fine turno. Ricordo anche tantissimi pomeriggi passati con mio nonno nel quartiere di Sant’Antonio, dove sono cresciuto, anche se sono nato alla Cella e poi mi sono trasferito in Sant’Ermete, dove ancora vive mia madre. Il primo ricordo che ho della Torre è di quando ero molto piccolo. Era carnevale e i miei mi avevano comprato un costume molto costoso per il tempo, quello di Capitan Futuro, un personaggio di un vecchio cartone animato. Per me è stato un sogno, una di quelle gioie che ti si piantano nel cervello e non si dimenticano più. Mio papà allora mi ha portato sotto la Torre per scattarmi alcune foto che conservo ancora.

Come ti trovi a Venezia?
Per tantissimi versi mi trovo molto bene. Mi piace stare vicino all’acqua e adoro camminare, per questo per me è una città ideale. Ci sono molte affinità con Pisa anche se sono due città diverse, come l’essere circondato dalla bellezza quando vai in giro. Per me è molto importante essere circondato dal bello, aumenta la qualità della vita. I miei amici, quelli veri, però sono a Pisa. Pisa è la mia città e sarei falso a dire che non mi manca. La gente… la cucina… le strade… quando torno, sempre per pochi giorni, cerco di assorbire tutto.

Ci racconti qualcosa del tuo lavoro?
Di lavoro sono un attore e pedagogo teatrale. Faccio principalmente spettacoli di narrazione e insegno teatro ai ragazzi. Ogni tanto capita qualche fiction ma preferisco di gran lunga il palcoscenico e il rapporto diretto col pubblico. Il primo spettacolo che ho fatto da professionista si chiamava “Fra l’orologio e il ponte” e ripercorreva la vita di Pisa e dei pisani durante la guerra. Un altro, per me molto importante, è stato sulla strage della Moby Prince, fatto in collaborazione coi famigliari delle vittime. Spettacolo tra l’altro la cui ideazione mi ha portato a vivere a Livorno per diverso tempo. Adesso, Covid permettendo, sto girando l’Italia con uno spettacolo sul caso Moro, realizzato grazie alla collaborazione col vice presidente della seconda Commissione parlamentare.

Non può mancare qualche domanda sul Pisa… Ricordi la tua prima partita? 
La mia prima partita all’Arena la ricordo come se fosse ieri. Avevo 10 anni e non ero un grande appassionato di calcio, anzi non me ne importava niente. Mio papà mi porta a vedere il Pisa contro il Napoli di Maradona. Era il 1986, finì 1 a 1. Mio papà, che non era pisano, mi aveva portato per vedere il Pibe de Oro, eravamo in tribuna, nel settore basso era diviso da quello superiore. Prima della partita succede qualcosa che mi ha letteralmente cambiato la vita: ero sulle spalle di mio papà mentre i giocatori erano schierati in mezzo al campo per il saluto al pubblico e il sorteggio della palla. Poi i giocatori del Pisa vanno verso i vari settori del campo con un mazzolino di fiori da lanciare agli spettatori, un’usanza del Pisa di Romeo. Verso il mio settore viene un biondo coi baffi, si avvicina, mi guarda e lancia i fiori che mi arrivano dritti tra le braccia. È bastato quello perché tra me, il Pisa e quel giocatore nascesse un amore viscerale. In qualche modo non sono stato io a scegliere di tifare il Pisa, è il Pisa che ha deciso chi dovessi tifare. Ancora oggi non sono un grande appassionato di calcio, non guardo la serie A o la Champions. Seguo solo il Pisa, tanto che una vittoria o una sconfitta mi condizionano in un modo o nell’altro tutta la settimana.

Il giocatore nerazzurro che ti è rimasto nel cuore?
Dopo aver raccontato la mia prima partita è facile dire Klaus Berggreen. Ma c’è anche un altro giocatore che mi è rimasto nel cuore per tanti morivi, non ultime le sue fragilità che non gli hanno permesso la carriera che meritava: Mario Been. A Pisa sono passati tanti bravi giocatori, soprattutto negli anni ‘80 e ‘90. A nessuno però ho visto fare le cose che faceva Been, nemmeno a Dunga o Simeone che erano due fuoriclasse. Ho un grande ricordo anche di udio Sclosa, anche perché ho ancora la sua maglia, le Coq Sportif di lana con Saeco come sponsor, che ancora metto nelle partite che contano, porta bene.

Cosa mi dici dell’ultimo campionato del Pisa?
Il campionato è passato sulla scia della gioia di Trieste, col sorriso sulle labbra, fiducioso di un gruppo compatto come non si vedeva da tempo, un grande allenatore e un’ ottima società. Mai avuto paura di retrocedere, mai avuto ambizioni di serie A. Me lo sono goduto partita dopo partita, dall’inizio alla fine. Unico rammarico, non aver visto il derby all’Arena: avevo già fatto il biglietto.

Ultima domanda: mi diresti un pregio e un difetto dei Pisani?
Credo che i pisani abbiano un grande pregio che si trasforma spesso in un grande difetto, vale a dire essere legati al passato glorioso della città. Da una parte questo ci rende comunità, ci fa sentire uniti e ci dà un grande senso di appartenenza. Una cosa molto bella. Dall’altra il legame col passato talvolta ci appaga troppo e non ci permette di concentrarci in modo efficace sul presente e sul futuro. Spesso quando torno ho come l’impressione di ritrovare la città un po’ peggio di come l’ho lasciata, soprattutto in questi ultimi anni. Sento lamentele, ma le soluzioni che vengono trovate sono assurde. Faccio un esempio. L’altro giorno andando verso il Duomo abbiamo preso un gelato in Borgo. Mia moglie mi ha proposto di sederci sugli scalini di San Michele perché non c’erano panchine e lì saremmo stati più comodi anche per far mangiare due cucchiaini al bimbo che tenevamo in braccio. Le ho dovuto dire che non si poteva perché ci avrebbero fatto la multa. Mi ha guardato come se le stessi dicendo una bischerata. Mi sono un po’ vergognato.

 

 

Scrivi un commento