Ilaria Clara Urciuoli

18 agosto 1878, Arcidosso. Una processione scende dal monte Labbro, “il magnifico, forte e maestoso monte” che quella comunità in cammino ha ribattezzato “Labaro”. Lì, all’alba del giorno precedente, è stata issata una bandiera di legno, dipinta di rosso, con la scritta “La repubblica è il Regno di Dio”. La processione in questa domenica mattina avanza pacifica per annunciare proprio l’avvento di quel Regno, ma troppi sono ormai i timori dello Stato e anche della Chiesa nei confronti dell’uomo che guida la marcia e questa giornata non passerà senza qualcosa da ricordare.

Alla guida di quegli uomini e donne è il “Messia dell’Amiata”, David Lazzaretti, 44 anni e un passato tormentato da febbri e visioni. Era ancora molto giovane quando ebbe la prima: nell’aprile del 1848 era sceso in Maremma con il padre per lavorare – un lavoro duro quello di caricar legna sul carro e in una terra per sua natura ostile – quando un frate gli apparve rivelandogli che la sua vita sarebbe stata un “mistero”.

Passati vent’anni e combattuta una guerra, la seconda per l’indipendenza italiana, David, barrocciaio sposato e con una famiglia che come tante aveva visto nascere e morire i figli, torna a vedere quel frate (che poi identificherà in San Pietro). Questa volta – gli dice – l’azione è necessaria. Deve andare a Roma, parlare con Papa Pio IX e, se non ascoltato, vivere da eremita. Deluso dall’udienza con il Pontefice, David Lazzaretti (Lazzeretti in origine prima di cambiare vocale in onore di Lazzaro Pallavicino, parente di re Pipino di Francia) si rifugia in Sabina, presso le rovine di Sant’Angelo. Lì le sue visioni gli fanno il dono del simbolo che lo identificherà per il resto della sua vita e oltre, la doppia C rovesciata, a indicare il Cristo in prima e seconda venuta.

Sotto quel simbolo David e la sua schiera di giurisdavidici scendono il 18 agosto a Arcidosso. Con sé Lazzaretti portava l’esperienza vissuta nella sua comunità, una comunità fondata all’inizio del ’72: la Società delle famiglie cristiane. Poteva assomigliare a una delle società di mutuo soccorso che si diffondevano in quegli anni ma la sua radice è di stampo teologico. Ogni bene sulla vetta del monte Labaro è condiviso, messo in comune come il ricavato di un lavoro organizzato socialmente. Fondamentale in quella realtà era l’istruzione che doveva indirizzare alla pratica delle virtù morali e civili: furono dunque create due scuole per i figli dei soci e una, serale, per gli adulti.

Le parole chiave del suo predicare erano fede, carità, speranza, i simboli dei tre istituti fondati da Lazzaretti dal ’70 al ’72 (oltre la già citata Società delle famiglie cristiane fondò la Santa Lega e la congregazione degli Eremiti Penitenti e Penitenzieri), ma anche perdono, pace, soccorso, ospitalità. Attanagliato dal pensiero dell’imminente punizione divina, un secondo diluvio che avrebbe colpito la terra per i peccati degli uomini e della Chiesa, David stringeva in cuore anche la promessa di un futuro ripulito da questi mali, di un’umanità rigenerata.

Tutto questo era troppo però da un lato per la Chiesa, al cui interno il “Messia dell’Amiata” cercò uno spazio che gli venne definitivamente negato con la messa all’Indice dei suoi libri, per lo Stato dall’altro, preoccupato che dietro la costruzione religiosa Lazzaretti lavorasse per sovvertire l’ordine pubblico parlando di repubblica (in un’Italia monarchica) e di comunismo (in un mondo dove sempre più stava affermandosi la borghesia). Il timore che fossero armati cresceva. Sarebbe stata una processione o un atto di rivolta violenta quella domenica mattina? I carabinieri osservavano, probabilmente tesi. L’epilogo si avvicina. Un gruppo di queste forze armate apre il fuoco. Lazzaretti è colpito alla testa da breve distanza. I suoi fedeli lo trasportano verso Santa Fiora, fermandosi alle Bagnore, una piccola frazione di quel comune. Quella sera morirà.

Una storia questa che ha aperto negli oltre 140 anni che la separano dalla nostra attualità molti scenari di studio che esplorano le connessioni tra la natura religiosa, politica, sociale ma anche psicologica di quell’esperienza.

Sfondo di questa storia è il luogo ancora molto suggestivo del Monte Labbro, dove i resti di quella comunità sono ancora ben visibili. La torre giurisdavidica (ridotta a un solo piano dei tre originari) ancora svetta e modifica il profilo di quel luogo visto dal vecchio vulcano amiatino; la grotta, le sagome della chiesa e delle diverse strutture costruite con i sassi nel tempo franati sono lì a indurci all’ascolto di realtà lontane (più nella percezione di una profonda diversità dall’oggi che nel tempo). Visitarle oggi è un’avventura per i piccoli che dopo una breve passeggiata troveranno pareti dove arrampicarsi e dei labirinti di sassi in cui perdersi. Visitarle oggi è un’avventura per i grandi che vorranno approfondire e così perdersi, anche loro, in uno racconto che è memoria storica della nostra terra.

Ilaria Clara Urciuoli

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