Sfiorò uno scudetto con l’Inter di Ronaldo. Si dovette accontentare di un mal digerito secondo posto (dietro la Juventus) e una Coppa Uefa vinta in finale a Parigi contro la Lazio. Gigi Simoni si è spento all’età di 81 anni. Lascia un vuoto incolmabile nel mondo del calcio, che ha frequentato per tanti anni, dapprima come calciatore, poi come allenatore e dirigente sportivo.

Nel 2016 uscì la sua autobiografia, “Simoni si nasce” (Goal Book Edizioni). Sicuramente lui no ma tutti i lettori, ne siamo certi, avranno pensato alla facile assonanza con “signori si nasce”.  Simoni non vinse mai scudetti né giocò o allenò la Nazionale, eppure è considerato un vincente nel calcio. Da giocatore ottenne 4 promozioni dalla B alla A e una Coppa Italia (con il Napoli). Da allenatore, invece, ben sette promozioni dalla B alla A, due dalla C2 alla C1, una promozione dalla C1 alla B, una Coppa Uefa e un trofeo Anglo-italiano.

Elegante e serio, in campo e fuori, ha lasciato un bel ricordo nelle piazze calcistiche che ha frequentato. Chi scrive l’ha apprezzato moltissimo per due motivi. Prima di tutto come allenatore del Pisa Sporting Club, per due belle e indimenticabili promozioni in Serie A: la prima nella stagione 1984-85, la seconda nel 1986-87. Quando Romeo Anconetani voleva risalire nella massima serie chiamava lui e… il gioco era fatto. Due volte su due, non può essere solo un caso.

Poi l’approdo all’Inter, per cui simpatizzavo per osmosi familiare (mio padre, diventato interista perché ammirava il toscano Benito Lorenzi, mi aveva trasmesso la passione per il Biscione nerazzurro). Dopo anni e anni di delusioni Massimo Moratti fece riesplodere l’entusiasmo dei tifosi portando Ronaldo a San Siro, oltre a molti altri campioni. E in panchina lui, mister Simoni. Scudetto sfiorato, come dicevamo all’inizio, nella stagione 1997-1998. E tante, tantissime polemiche per quel fallo da rigore (non fischiato) di Iuliano su Ronaldo allo stadio delle Alpi di Torino.

Il 30 novembre 1998, come raccontò nel suo libro, la beffa. I colleghi allenatori lo incoronarono miglior allenatore, attribuendogli la “Panchina d’oro” per la precedente stagione. Quella sera avrebbe dovuto festeggiare a cena con sua moglie. Lei dopo poco ricevette una telefonata. Era Gigi. Le disse: “Hai già prenotato?”. “No, perché?”, rispose Monica. E lui: “Ecco, aspetta un attimo, forse mi hanno mandato via dall’Inter. Meglio aspettare a prenotare”.

Anni dopo Moratti si pentì di quella scelta: “Ancora oggi riconosco di avergli fatto un torto. Ma lui non me ne ha mai fatto una colpa e per questo lo ringrazio ancora e ho conservato nel tempo un ottimo rapporto. Quel licenziamento è stato come un fulmine che all’improvviso si abbatte su una quercia. La pianta ne soffre, ma nonostante quella potente scarica elettrica ha la forza di resistere e superare l’avversità. Quell’epilogo così traumatico non è riuscito a cancellare la stima sincera che ci lega anche adesso a distanza di tanti anni”.

Per Simoni quella all’Inter fu la prima e ultima occasione di allenare un grande club di Serie A. Non centrò il risultato sperato. E non ebbe un’altra occasione. Da signore qual era sempre stato, non riuscì mai a voler male a chi gli aveva fatto quel torto. Simoni si nasce, dicevamo…

 

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