Paolo Lazzari

Una maratona, più che una corsa, per giunta tappezzata di ostacoli: la vita dei ristoratori pisani ai tempi del Covid19 resta un garbuglio difficilmente districabile. Delivery e take away, ad oggi, assomigliano a cure palliative, ma c’è anche chi non esclude che – per il futuro prossimo – diventino il core business di un’attività che dovrà forzosamente reinventarsi.

Nel frattempo tocca resistere. Già, ma come? La scure dei costi fissi è un macigno impossibile da deglutire: resta lì sospesa, a mezz’aria, in attesa di soluzioni. Sì perché ci sono gli stipendi dei dipendenti da pagare, mentre la cassa integrazione tarda ad essere coperta dallo Stato. Ci sono gli affitti da versare ogni mese, anche se il locale è chiuso da cinquanta giorni e lo rimarrà almeno fino al 1° giugno. Ci sono le bollette, le tasse ed i costi per le sanificazioni. Una ridda di spese, insomma, a fronte di un ricavo giornaliero che – almeno in questa fase – si attesta intorno ai 20 euro per la maggior parte degli esercenti.

“Parliamoci chiaro – dice Federico Bacci, titolare del bar Betsabea in piazza Dante – il take away non ci fornisce da vivere. I clienti telefonano per prenotare, ma non basta. Noi – spiega – non facciamo delivery, perché si tratta di una logica incompatibile con l’atmosfera conviviale cercata da chi si rivolge al bar”. Nel frattempo le saracinesche sono aperte al mattino, dalle 7,30 alle 12,30: “Almeno – prosegue Bacci – è un segnale che qualcosa sta ripartendo. Siamo chiusi da cinquanta giorni e tra affitti da pagare, mancati guadagni – specie nel periodo pasquale – ed altre spese fisse versiamo in grande sofferenza. La Toscana in generale e Pisa nello specifico hanno dimostrato almeno la buona volontà: stanno provando a farci riattivare, ma ci vorrà tempo prima di rivedere i clienti come prima. Per fortuna – conclude – noi abbiamo anche un ampio spazio esterno che ci consentirà di rispettare le distanze, sia per le colazioni che per gli aperitivi”.

Altro angolo cittadino svoltato, medesima situazione. Stavolta a parlare è Francesca Antonioli, titolare del bar La Sapienza: “Facciamo sia delivery che take away – commenta – ma la verità è che non sono sufficienti. Cerchiamo di abituare nuovamente i clienti tenendo aperto, ma non è facile: tre mesi di blocco, per noi, significano 15mila euro da pagare in affitti e bollette. Senza contare il mancato guadagno”. Tuttavia, secondo Antonioli, gli esercenti continueranno a resistere anche fino al 1° giugno, a patto che questo mese serva davvero per organizzarsi in modo da riaprire regolarmente: “Serve buonsenso – argomenta – non possiamo aprire per poi richiudere nel giro di una settimana. Ci auguriamo che questo periodo sia utile per predisporre tutte le misure necessarie, perché siamo già allo stremo: una seconda chiusura, magari tra qualche mese, vorrebbe dire non riaprire più”. Nessuna sorpresa, invece, rispetto alle esigenze di sanificazione del locale: “Vedo colleghi cadere dalle nuvole – conclude – quando in realtà, manuale Hccp alla mano, per attività come le nostre è assolutamente normale provvedere a sanificare ciclicamente. Quello che invece serve – precisa – è risolvere in modo concreto la problematica del distanziamento. Gli aiuti dallo Stato? C’è tanta gente che ancora attende i 600 euro o la cassa integrazione. Mi sembra chiaro che, ancora una volta, dovremo fare da soli, ricorrendo ai finanziamenti privati”.

A Pisa c’è anche chi, grazie alla peculiarità del prodotto offerto, riesce a “sfangarla” leggermente meglio. È il caso del Mediceo, celebre paninoteca sull’omonimo lungarno. “Il delivery – commenta il proprietario Matteo Nardi – funziona bene perché abbiamo una storicità in questo senso: lo abbiamo sempre fatto, le persone lo sanno. Resta il fatto che non riusciamo a rientrare con le spese, perché l’incasso è un quarto del normale. Paghiamo tasse per un locale vuoto, oltre ad affitto e bollette. Inoltre – si chiede – come posso far rispettare la distanza se il mio locale è largo due metri e cinquanta?”. Dubbi legittimi, così come quelli connessi alla riapertura: “Vorremmo tornare a lavorare a regime prima del 1° giugno, in condizioni di sicurezza. Un altro problema però sarà anche quello legato al periodo in cui riapriremo: a luglio ed agosto la città si svuota ed il nostro target principale, gli studenti, se ne vanno. Non so dire se sarà così anche questa estate, forse no, ma l’incognita rimane”. Tutto questo, secondo Nardi, potrebbe portare anche ad un cambio di registro nelle modalità lavorative: “Già adesso – ricorda – i clienti preferiscono il delivery al take away, anche se stanno a pochi metri da noi. Forse sarà il focus per i prossimi mesi: siamo pronti ad organizzarci in questo senso, ma chiediamo misure chiare e provvedimenti concreti”.

Nel frattempo, nella serata del 29 aprile i ristoratori del comprensorio pisano hanno deciso di tenere simbolicamente aperta la saracinesca dei loro locali, con tanto di luci accese e tavoli apparecchiati. Il tutto per aderire all’iniziativa “Risorgiamo l’Italia”: un flash mob emblematico, per far capire che i ristoratori sono ancora vivi, ma servono aiuti concreti e immediati dallo Stato, perché le risorse di intere famiglie sono terminate.

 

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