Il bambino che sorride felice, nella foto a sinistra, ancora non sa che quello alle sue spalle diventerà un luogo speciale, ancora oggi scolpito nella memoria di generazioni di pisani. È il cinema Ariston di Pisa, siamo nel 1959. Riccardo Capineri ha dieci anni e suo padre, Renzo, è appena stato mandato nella città della Torre per dirigere la sala. Riccardo avrà modo di vedere tantissimi film, conoscere alcuni segreti della settima arte, con la luce che illumina la pellicola e riproduce, sul grande schermo, i sogni dell’uomo moderno. Tantissime storie e momenti felici vissuti tra quelle mura. Sono passati tanti anni e Riccardo, dopo aver letto un articolo de L’Arno in cui si parlava dell’ex cinema, ormai sventrato, dove verranno costruiti degli appartamenti, ci ha contattato per regalarci alcune perle: i suoi ricordi di bambino, in quel mondo magico di celluloide denso di emozioni e di fascino.

Signor Capineri, ci racconta il suo primo ricordo del cinema Ariston?
Ero appena arrivato a Pisa, avevo quasi dieci anni. Venivamo da Firenze. Il cinema apparteneva a tre soci, di cui il maggiore azionista era il commendator Giovanni Germani, che a Firenze possedeva diverse sale importanti. Mio padre Renzo fu mandato a Pisa a dirigere l’Ariston, incarico che ricoprì dal 1959 al 1973, quando andò in pensione. Pur essendo ancora piccolo mi davo da fare per cercare di aiutare. Lo stesso faceva mio fratello Riccardo, più grande di me, prima che trovasse lavoro.

Renzo Capineri, direttore del cinema Ariston dal 1959 al 1973

Cosa faceva?
Ritagliavo i manifesti dei film, andavo su in cabina proiezione. La domenica, a volte, aiutavo la guardarobiera, soprattutto d’inverno.

Cosa ricorda del pubblico di quegli anni?
C’era un gran pienone, con tanti militari, la fila per entrare che arrivava in strada. All’epoca l’ingresso era consentito anche per i posti in piedi. Quando anche l’ultimo posto veniva venduto mettevano il cartello “esaurito”. In sala si poteva fumare. Tenga conto che ogni tre-quattro anni la grande parete bianca su cui veniva proiettato il film andava ridipinta perché tutta ingiallita.

Andare al cinema era uno degli svaghi più importanti…
Sì, posso dire di aver vissuto gli anni d’oro del cinema italiano. A quell’epoca, negli anni Sessanta, i film stavano fuori anche tre mesi in programmazione. Poi magari giravano in altre sale.

Riccardo Capineri a dieci anni davanti al cinema Ariston

Si ricorda qualche titolo in particolare?
“La grande guerra”, “La dolce vita”, “Il sorpasso”, “Boccaccio 70”.

Il più bello di tutti che ha visto in quei tempi?
“Ben Hur”. Tra gli altri direi, da toscano, “Amici Miei”. Ovviamente diversi anni dopo.

Il luogo più bello dentro al cinema?
La cabina di proiezione. Ricordo che le pellicole arrivavano per ferrovia, come “collo celere”. Erano le famose “pizze” che andavano a comporre i due rulli, uno per il primo e l’altro per il secondo tempo. Le pizze erano piuttosto pesanti e bisognava portarle all’ultimo piano, sopra la galleria, dov’era il proiettore, facendo tutte le scale a piedi. Con l’avvento della pellicola da 70 millimetri le pellicole raddoppiarono di dimensione e, quindi, di peso.

Che tipo di lavoro era quello dell’operatore?
Di grande attenzione e prontezza di riflessi. Bisognava stare attenti a tutto. Che le immagini fossero a fuoco, che si sentisse il sonoro… poi poteva capitare che si bruciasse la pellicola. Quando si esaurivano bisognava sostituire i carboni dell’illuminazione ad arco voltaico. Il macchinista restava in cabina per tutto il tempo.

Se non sbaglio c’era anche un secondo operatore…
Sì, aiutava il macchinista e aveva l’incarico di cambiare le locandine, sia al cinema che in giro per la città, dove erano esposti i manifesti, ad esempio in via la Nunziatina, in piazza Garibaldi o ai Bagni di Nerone. Il mio compito, da bambino, era di ritagliare i manifesti.

In che senso?
Sopra alle porte attaccavamo delle immagini tratte dai film ritagliandole dai manifesti. Così, oltre alle locandine classiche, si coloravano un po’ le pareti mettendo un po’ di curiosità in più agli spettatori.

Quante persone lavoravano all’Ariston?
Due cassiere, un turnista, una maschera all’ingresso per i biglietti, una in galleria ed una in platea, due operatori in sala proiettore. In più, in appalto, c’era il servizio bar con barista e aiutante e una guardarobiera. Una decina di persone in tutto, più mio padre. C’era un bel rapporto tra tutti i dipendenti. Ricordo che il babbo ogni tanto organizzava delle serate con il personale, cenando tutti insieme dopo il lavoro.

Cosa ci racconta di suo padre quando smise di lavorare per l’Ariston?
Purtroppo si godette poco la pensione, morì nel 1976. Nei tre anni dopo il pensionamento potè dedicarsi maggiormente alle sue passioni, la pittura e la fotografia.

Lei cosa ha fatto nella vita?
Dopo il liceo mi iscrissi all’università, facoltà di Biologia. Per diversi anni ho gestito un negozio di acquari, che si trovava proprio vicino al cinema. Nel 1986 l’ho ceduto iniziando a fare il rappresentante per prodotti di odontoiatria. Ora sono in pensione e mi occupo di giardinaggio, volontariato, presso il Museo di Storia naturale di Calci (Pisa) e restauro preparati in tassidermia (animali imbalsamati, ndr).

Ricorda di aver visto qualche film proibito?
Certamente. “Mondo Cane”, oppure “Europa di notte”. Erano dei documentari che sbirciavamo da dietro le tende. Un’altra pellicola che fece scandalo fu “Helga”, anch’esso un documentario, dove si vedeva un parto in diretta. All’uscita dalla sala vidi uscire tante persone che stavano malissimo. Una volta, invece, il cinema fu occupato per impedire la proiezione di un film.

Di quale film si trattava?
“Berretti verdi”, con John Wayne. Fu molto contestato perché parlava della guerra in Vietnam ed era filoamericano. Il cinema venne letteralmente occupato e intervenne la Polizia.

E il cinema d’estate?
A parte il breve periodo in cui il cinema veniva chiuso, ad agosto, d’estate venivano organizzate delle belle rassegne settimanali. Ad esempio c’era la settimana con i film su Totò, i Western, Tarzan. Ricordo anche i film al mattino. Poi le proiezioni vennero sospese per evitare che troppi ragazzi potessero avere problemi a scuola.

Oggi si va meno al cinema, i film si guardano anche da casa… cosa ne pensa?
I tempi sono cambiati. Un tempo l’appuntamento al cinema era una tappa obbligata. Un’occasione per uscire di casa, la sera, incontrare persone. Il cinema creava aggregazione. Ma vorrei sottolineare che, quando l’Ariston fu chiuso, il multisala lavorava, non era affatto in crisi. Chiudere tutto fu solo una scelta imprenditoriale.

Riccardo Capineri

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