Paolo Lazzari

Se ti concedi una passeggiata contemplativa per le vie del centro di Firenze, a volte, rischi di trasalire di fronte al profluvio di bellezza che ti circuisce. Eppure, al cospetto dei dipinti, delle sculture e di tutti gli altri tesori artistici che questo maestoso scrigno custodisce, l’abitudine ricorrente rischia di essere un’altra. Quella – mortifera per la comprensione del presente – di dare tutto per scontato, senza soffermarsi a soppesare come abbia fatto, il capoluogo toscano, a diventare uno degli zaffiri più ambiti quando si allude al binomio turismo culturale su scala internazionale.

Prova a fare spazio per questa domanda e osserva le venature che arricchiscono i pensieri. Magari lo sai già, ma se non lo sai, sappi che la risposta assume i contorni imperiosi di una donna che, armata da una strenua volontà e da una passione sincera per le arti, riuscì a salvare tutti i tesori della città evitando lo sfacelo di un impoverimento globale, che l’avrebbe relegata ad un ruolo marginale nei secoli successivi.

Anna Maria Luisa de’ Medici fu l’ultima della sua dinastia. Il padre, Cosimo III, provò con ogni mezzo a modificare la legge successoria che pretendeva come eredi designati i figli maschi, per farla diventare Granduchessa. Uno scenario precluso dalla ferma opposizione delle grandi potenze dell’epoca che avevano già deciso come spartirsi il bottino: il Granducato verrà governato da Francesco Stefano di Lorena, ma questo non impedirà alla principessa, già nota con il titolo di Elettrice Palatina (grazie alle nozze con Johann Willhelm) di compiere il suo disegno.

Quello della successione medicea, del resto, era divenuto un garbuglio inestricabile. Cosimo aveva provato a dare battaglia emettendo una serie di decreti di sua sponte (motu proprio, come si diceva all’epoca), ma nessuno di essi aveva fatto cambiare idea a Carlo VI d’Asburgo, imperatore e sovrano feudale della Toscana. I fratelli della principessa, Ferdinando e Gian Gastone, non avevano assicurato eredi al trono e nemmeno lei aveva dato alla luce figli. La disfatta era dunque servita: alla morte dell’ultimo discendente maschio dei Medici, il titolo doveva passare a Francesco Stefano che cedeva la Lorena alla Francia proprio in cambio di esso. In circostanze simili, il ricco patrimonio delle città d’arte italiane veniva smembrato e spedito in giro per le corti di mezza Europa, per andare ad arricchire le stanze della nobilità. Scenari simili si verificarono a Ferrara, Mantova e Parma, enormemente depauperate all’estinzione delle casate regnanti. A Firenze però le cose andarono diversamente.

Anna Maria Luisa aveva da sempre mostrato una profonda inclinazione per le arti e per il mecenatismo. Una passione e una dedizione che la indussero a compiere una missione che non aveva precedenti. Il principe Marc di Craon, inviato da Francesco Stefano per offrirle la reggenza del Granducato, rimase favorevolmente colpito dal rifiuto di Anna Maria Luisa, tanto da affermare “questa principessa ama la patria, è giusta e ama le persone oneste. Non ha affetti estranei e non vuole legarsi al momento per testamento”. L’ultima dei Medici preferiva ritirarsi in Palazzo Pitti, per continuare a curare le collezioni con cui l’aveva arricchito nel corso degli anni. Al contempo cedeva sì tutti i propri diritti sui beni granducali al successore, ma non avrebbe mai accettato che gli stessi venissero allontanati da Firenze.

Così, nel 1737, con il celebre Patto di famiglia, l’Elettrice Palatina ottiene la sua più grande conquista. Il documento viene firmato il 31 ottobre a Vienna, alla presenza di Francesco Stefano. Nel testo, all’Art. 3, la Principessa impone che si scriva così: “A condizione espressa che quello che è per ornamento dello Stato, e per utilità del pubblico, e per attirare la curiosità dei Forestieri, sarà nulla trasportato, o levato fuori dalla Capitale, e dello Stato del Granducato”. Touché. Anna Maria Luisa indicò di seguito anche alcuni esempi espliciti dei beni ai quali si riferiva e, con questo atto, li vincolò per sempre alla storia fiorentina. Questo, a conti fatti, rappresentò il primo caso di testamento a vocazione pubblica nella storia europea. Se oggi Firenze e la Toscana sono quelle che conosciamo, il merito è tutto dell’ultima – saggia e illuminata – discendente dei Medici.

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