Ilaria Clara Urciuoli

La terracotta, semplice e povera, testimone di una lunga storia di evoluzione dell’uomo che in Toscana richiama con forza la tradizione etrusca, si anima di un respiro vitale nelle mani di Arturo Martini, scultore accarezzato dalla piccola ma molto piacevole mostra da poco inaugurata al Museo Novecento di Firenze. Colpisce, girando tra le sale, l’umanità che trasuda da quelle opere, da quei tratti poco precisi che tuttavia riescono a rendere un’ampia gamma di espressioni e di emozioni racchiusi nella fisicità di quei corpi. È così “La moglie del marinaio”, protesa verso il mare che immaginiamo oltre la finestra mentre le sue cosce e il suo grembo accolgono stabili il bimbo frutto di quell’unione interrotta e al tempo stesso supportata dal mare; è così “Ospitalità” (Pietà), mani strette in gesti e pose che sono archetipi. Così è “Ofelia”, toccante nella sua sensualità e caducità: la scultura di Martini rende delicatamente quella follia che è distacco da sé, sguardo e viso presente altrove, un seno scoperto, le mani aperte. Guardandola da vicino, fermandosi sul suo viso e sul suo corpo tutto, si capisce perché quella scultura abbia tanto colpito Mario Castelnuovo Tedesco, il musicista ebreo costretto nel 1939 ad emigrare negli Stati Uniti con la sua Ofelia che lì fu a lungo conservata per ritornare ora in Italia.

L’opera di Martini lascia nell’osservatore il desiderio dell’oltre, di vedere il centro nascosto che “Le collegiali” proteggono all’interno del loro cerchio fisico, l’oggetto dell’attesa intimamente custodito nello sguardo della giovane Susanna, la risposta degli dei invocati dall’Ulisse che alza braccia e sguardo al cielo. È in questo senso che Martini custodisce e coltiva nelle sue opere il mistero dell’arte pur senza distaccarsi dalla figura e da alcuni motivi poetici a lui cari come quelli dell’attesa, della contemplazione, della trascendenza, come sottolinea Sergio Risaliti, direttore del museo.

Questa esposizione mette in luce il rapporto tra Martini e Firenze, la Firenze briosa degli anni Venti-Trenta che vede l’artista tra i personaggi più in vista della Fiorentina Primaverile nel ’22 e poi, nel ’31, protagonista con l’amico Primo Conti della doppia personale di Palazzo Spini Feroni. Molto tempo dopo questo legame si consolida grazie a Alberto della Ragione e al suo generoso lascito di molte opere alla città di Firenze, tra cui compaiono anche diversi lavori di Martini. A settembre la mostra si arricchirà di una nuova sezione che esaminerà invece il rapporto tra Martini e Carrara, città dominata dalle Apuane tanto ricche di fascino per gli scultori.

Arturo Martini entra così con questa mostra, curata da Lucia Mannini con Eva Francioli e Stefania Rispoli, visitabile fino al 14 novembre, all’interno del ciclo Solo, che dal 2018 vede nelle sale del Museo Novecento alternarsi i grandi artisti del secolo scorso che vengono qui indagati esaminandone aspetti peculiari. Piccole mostre dinamiche che possano così promuovere nella rinascimentale Firenze, esperienze artistiche più recenti, di quel rinascimento figlie talvolta accolte, talvolta discusse.

Ilaria Clara Urciuoli

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