“Di essere buoni ci siamo stancati. Anzi in realtà ci siamo sempre catalogati tra i ‘cattivi’, i ‘fuori dalla norma’, quelli ‘che vogliono fare i musicisti’, quelli che ‘chissà cosa avranno nella testa’…. I buoni li lasciamo fare agli altri”. Si presenta così Luca Erriquenz, leader del gruppo Cattive Compagnie.


Luca, ci parli del video e della canzone Cattive compagnie?

È un brano che nasce da alcune considerazioni maturate nel tempo. Faccio musica da vent’anni e mi rendo conto che è difficile inseguire un sogno, dovendo combattere contro i pregiudizi, anche di chi ti sta vicino. Questo mi ha fatto scattare la rabbia che è la motivazione più forte che mi ha spinto a fare il musicista, per cui ho studiato molto. Questa è una canzone che potremmo definire di denuncia.

Rabbia verso chi e cosa?
Verso chi cerca di imporre dei cliché, che vuole dirti cosa devi fare e non fare, come muoverti, cosa pensare e dire.

Che studi hai fatto?
Dopo il liceo mi sono iscritto a Musicologia, che fa parte del corso di laurea di Lettere, poi dieci anni di Conservatorio, la specializzazione in Pianoforte ed ho seguito due Master.

Direi che ti sei fatto un bel “mazzo”…
Me lo sto ancora facendo. Sto portando avanti gli studi per poter conseguire i titoli necessari all’insegnamento.

Vivi di musica?
Sì, da ventuno anni mi mantengo suonando, facendo dischi ed anche insegnando.

Ci parli del tuo gruppo?
“Cattive Compagnie” è nato due anni fa. Avevo voglia di suonare in un gruppo, cosa molta diversa dal fare musica da soli. La band ti fa confrontare con persone differenti e ti mette in condizione di crescere e divertirti. Del gruppo fanno parte Andrea Samoni (chitarra), Federico Casarosa (basso) e Francesco Griselli (batteria).

Che tipo di musica suonate?
Pop-rock e blues, diretto e semplice.

Cosa vuol dire?
Non ci sono fronzoli né maschere commerciali.

Cosa ne pensi dei talent show?
Hanno rovinato la musica in Italia. Negli Stati Uniti, dove c’è una cultura musicale molto forte, e c’è anche un mercato musicale, i talent non hanno prodotto danni simili al nostro Paese.

A cosa ti riferisci?
Da noi purtroppo c’è una cultura musicale sottosviluppata e le persone pensano che certi show facciano nascere i nuovi talenti della musica. Invece è un solo meccanismo commerciale e di spettacolo. Del resto se poi a Sanremo ti accorgi che i più ascoltati sono i cantanti usciti dal talent, e in radio passano quasi sempre solo i loro pezzi, vuol dire che i ragazzi dei talent sono solo delle pedine che vengono gestite dalle case discografiche. Il problema non è solo del talent ma di ciò che esiste oltre. Negli Usa, dicevo, i talent ci sono ma ci vanno persone con le “palle”, che hanno fatto e sanno fare musica e che riuscirebbe a vendere comunque.

Non andresti mai a un talent?
Questa estate andrò alle registrazioni di The Coach, non come concorrente ma in versione “coach”. È interessante perché offre la possibilità, ai giovani partecipanti, di alzare l’asticella rispetto alle loro capacità iniziali. Ma non ho mai fatto e non parteciperò mai a un talent musicale come concorrente, perché sono contrario a questo meccanismo e lo reputo in opposizione alla vera passione per la musica.

Che messaggio sentiresti di dare a un giovane che oggi voglia fare musica?
L’arte va avanti solo con la passione. Io vengo dalla cultura dello “studia, mi raccomando”. L’arte è difficile, chi la fa con il cuore è in grado di toccare corde molto delicate per ciascun uomo, riuscendo per certi versi a capire cose che altri non vedono. Studiare e prepararsi, però, è fondamentale.

Questa estate suonerete dove?
Ad agosto inizieremo con le serate. Il primo appuntamento già in programma è il 28 agosto al Giardino Scotto di Pisa, ma ci saranno tante altre date.

 

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