Sono quasi quattro anni che Daiana Nuti vive alle Canarie, dove si guadagna da vivere come ristoratrice. Gestisce un locale molto conosciuto di Las Palmas (Gran Canaria), Casa Montesdeoca, che si trova nel quartiere più antico della città, la Vegueta, a poca distanza dalla casa (oggi museo) che ospitò Cristoforo Colombo. La sua famiglia aveva una piccola azienda a Castelfranco di Sotto (nel 2006 delocalizzata all’estero), lei per una vita si è occupata di import-export di pellami, oltre che di edilizia. Poi è sbocciato il grande amore per la cucina e la voglia di mettere in piedi un ristorante. Ma le troppe tasse l’hanno spinta a cercare fortuna fuori dall’Italia.

Ci racconta del suo lavoro in Italia?
Dopo che mi sono separata da mio marito ho deciso di spostarmi in un settore imprenditoriale che mi piaceva di più, legato alla mia passione per la cucina. Ho gestito un ristorante nel Chianti, a Lucardo, tra Certaldo e Montespertoli, la Locanda dell’ignorante. Andava molto bene, però a fine anno facevo i conti di quanto mi restava in tasca e quasi tutto se ne andava in tasse.

Mi può fare un esempio?
Qui alle Canarie ho un locale di 480 metri quadrati e pago, di spazzatura, 160 euro all’anno. In Italia, per un locale più piccolo, 160 metri quadri, nel 2013 pagavo 9500 euro all’anno. Faccia due conti… C’è da dire, inoltre, che oltre alle imposte più basse che si pagano qua, da parte del Fisco c’è un atteggiamento diverso nei confronti dell’imprenditore. I controlli li fanno, ma non come in Italia dove sei colpevole a meno che tu non dimostri il contrario, con un approccio che definirei persecutorio.

Quindi ha deciso di spostarsi alle Canarie?
Non subito. Diciamo che ho iniziato a cercare un luogo dove potermi trasferire.

Quali Paesi ha preso in considerazione?
Svizzera, Mauritius, poi a Capo Verde ho trovato un posto spettacolare sul mare, da sogno. Ma mi sono detta: dopo sei mesi con chi parlo?

Cosa vuole dire?
Su un’isola deserta cosa puoi fare dopo un po’ di tempo che vivi? Ti manca quel tessuto culturale e sociale cui noi italiani siamo abituati. Tornata in Italia un amico mi parlò delle Canarie, che a dire il vero mai fino ad allora avevo preso in considerazione. Ci sono andata ed ho girato tutte le isole dell’arcipelago, sentendomi subito a casa. Poi ho scelto di stabilirmi a Las Palmas.

Ed ha aperto il suo ristorante, Casa Montesdeoca…
Per scovarlo ho avuto, diciamo così, più “culo che anima”…

In che senso?
Cercavo un locale da poter rilevare e, navigando su alcuni siti, mi sono imbattuta in questo, che esiste da sempre, in una delle case più antiche della città. Per riuscire ad averlo in affitto ho dovuto faticare un anno.

Perché così tanto?
Ho dovuto convincere il proprietario, un inglese, della mia serietà e del mio curriculum, su cosa avevo fatto in passato… inoltre voleva garanzie anche sul tipo di ristorante che avevo in mente di aprire…

Il fatto che fosse italiana non l’ha aiutata?
In parte sì, ma noi italiani, purtroppo, ci portiamo dietro anche il fardello di alcuni connazionali che ne combinano di tutti i colori all’estero. Molti pensano che noi italiani siamo degli imbroglioni e che è meglio non fidarsi. Le persone oneste, quindi, devono faticare per conquistare la fiducia che meritano.

Come si trova alle Canarie?
Direi che vivere fuori dal tuo Paese ti fortifica, acquisisci abitudini e punti di vista diversi e si allentano i legami che avevi prima. Alle Canarie ci sono moltissimi italiani, siamo una delle colonie più numerose. Molti, però, non hanno tagliato il cordone ombelicale con l’Italia. Ad esempio guardano solo la tv italiana. Quando torno in Italia sto bene, è il mio Paese. Ma qua ormai è casa mia.

La sua famiglia è rimasta in Italia?
Come le dicevo mi sono separata alcuni anni fa. Mio figlio vive con il padre, a Fucecchio. Mia figlia, invece, è venuta con me. Ora studia dietologia e scienze dell’alimentazione all’università di Granada. Le mando qualcosa ogni mese ma potrebbe vivere benissimo anche senza, visto che c’è un sistema che, grazie alle borse di studio, permette a chi studia di potersi mantenere con le proprie forze.

Cosa mi dice degli italiani che vivono alle Canarie?
Ce ne sono di tre tipi. I pensionati, che vivono vicino al mare, vanno a cercare un costo della vita più basso, il sole e una certa tranquillità. Poi ci sono i più giovani, professionisti. Tendono un po’ a chiudersi tra di loro, con pochi contatti con la popolazione locale. Infine ci sono le coppie giovani, più aperte all’integrazione e pronte a mescolarsi con le altre famiglie e gli amici di altre nazionalità. Alle Canarie abbiamo un melting pot davvero grande. Le famiglie con i piccoli a scuola per ovvie ragioni sono quelle che più si integrano, proprio grazie ai figli.

Come si vive dalle sue parti?
Bene. C’è lavoro, le tasse non sono opprimenti come in Italia e i servizi offerti sono ottimi. Tenga conto, ad esempio, che una scuola privata qui costa 70 euro al mese, e il livello è molto avanzato. Per chi non può permetterselo ci sono anche buone scuole pubbliche. Nel mio lavoro la comunicazione è fondamentale, per questo ho riscoperto l’uso dei social network, che prima in Italia non avevo mai considerato. Il grosso dell’economia alle Canarie è mosso da poche famiglie, e si cerca di non aprire troppo agli estranei. Se qualcuno sgarra o comunque c’è il sospetto che lo possa fare, si denuncia, poi scattano i controlli. Questa pratica della denuncia è molto diffusa e permette un controllo sociale molto stretto.

Come se la cava in cucina?
Direi bene, sono cuoca. Anche se ora mi occupo prevalentemente di organizzazione, marketing e di tutto ciò che è legato alla gestione di un ristorante.

Qual è il suo piatto forte?
La “carillera a la naranja”, una rivisitazione con gli agrumi di un piatto toscano antichissimo, il peposo. A volte nel mio ristorante propongo dei viaggi culinari, con cibi e vini di un determinato luogo, cercando di spiegare la storia che c’è dietro ad alcune pietanze. Ad esempio perché in certe zone lontane dal mare anticamente si mangiasse il baccalà. Spiegare che quel pesce era conosciuto anche in Toscana perché i nostri mercanti raggiungevano i paesi del Nord Europa, è una cosa che affascina i clienti. Dietro un piatto c’è una storia tutta da raccontare.

Mi direbbe un pregio dei pisani?
La cultura che abbiamo, fatta di secoli e secoli di storia. Siamo eclettici, abbiamo una visione che deriva dal nostro passato. Abbiamo una sensibilità, un gusto e una visione che è, per sua natura, rivolta all’estetica e al bello.

E un difetto?
Non siamo sufficientemente preparati ad affrontare il futuro, ed è questo, forse, che ci sta affossando. Non sappiamo affrontare la globalizzazione come si dovrebbe e non parliamo bene le lingue. Poi diamo troppe cose per scontate. Le faccio un esempio: se vado all’estero e propongo la nostra cucina non è detto che abbia successo solo perché è italiana. Bisogna tenere conto di diversi fattori, delle culture e diverse abitudini e sapersi rapportare coi gusti e i desideri dei clienti. A volte noi italiani siamo un po’ superbi e restii ad uscire dal nostro contesto.

Che consiglio darebbe a chi vuole trasferirsi nelle Canarie per aprire un’attività?
Trovarsi un buon commercialista e un buon avvocato. Se non sei in grado di difenderti puoi prendere delle fregature molto grosse. Proprio per questo bisogna conoscere o, cosa più facile, farsi seguire da chi conosce alla perfezione leggi e regolamenti. Può capitare, ad esempio, che ti affittino dei locali che non abbiano tutti i requisiti per essere a norma. E questo dopo ti può costare molto caro. Non è facile, all’inizio, riuscire a entrare in un sistema in cui la burocrazia viene usata come muro di gomma per non farti entrare.

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