– Guido Martinelli –
La massima serie calcistica per una città di medie dimensioni come Pisa, anche se ricca di monumenti e di storia, è sicuramente importante al punto di coinvolgere, bene o male, tutta la cittadinanza. Quindi, da cittadino e tifoso come tanti, ho deciso di interessarmene invadendo l’ambito sportivo di questa testata di cui si occupano altri colleghi più valenti di me, occupandomi, da buon boomer, del passato. Ho infatti pensato di rievocare i fasti della prima, lontana promozione in Serie A targata 1967-68, grazie alla conoscenza, tramite familiari, di una gentilissima gloria neroazzurra, Fabrizio Barontini, il recordman assoluto di presenze con la maglia neroazzurra, 318. Grazie a lui sono riuscito ad incontrare il suo amico fraterno Roberto Gasparroni, soprannominato dai tifosi “Ruspa”.
Iniziamo con le presentazioni, fate da soli…
Gasparroni: “Mi chiamo Roberto Gasparroni, sono nato a Tolentino (Mc) il 1/03/1944 e risiedo a Cascina”. Barontini: “Io sono Fabrizio Barontini, sono nato a Cascina il 21/10/1941 e risiedo a San Frediano a Settimo”.
Quanto è durata la vostra carriera calcistica?
G: “Ho giocato 24 anni, fino a 42, partendo inizialmente dai ragazzi della Civitanovese e poi andando a Pisa per una decina di anni. Ho iniziato anche qui tra i ragazzi e poi, piano piano, ho preso il posto in prima squadra. Dopo ho militato in Serie B, un anno a Catanzaro e un altro a Parma, dove trascorsi una stagione bellissima, ma l’anno successivo la società decise di puntare sui giovani e per premiare le mie qualità di uomo e calciatore mi dette la lista gratuita. Così tornai a Pisa, che nel frattempo era disceso in C, per un anno. Da lì andai alla Rondinella di Firenze passando dalla D alla C. Ho finito la carriera tra i dilettanti a Pontedera, Castelfranco, Santo Pietro Belvedere e Casciana in Prima Categoria, e in quelle squadre vinsi alcuni campionati. Insomma, ho giocato finché ho potuto”
D’altronde era una ruspa…
G: (Ride). “Un tempo, ora sono un rastrello…”.

B: “ Io, invece, ho iniziato a San Frediano, in Promozione, quando avevo 15 anni e l’anno dopo feci il provino con il Pisa ma alcuni amici mi sconsigliarono perché i giovani, secondo loro, non erano molto curati, così finii al Rosignano in Quarta serie e in Eccellenza. L’allenatore della squadra, Arduino Romoli, fu chiamato a Pisa e decise di portarmi con lui insieme a un altro mio amico e li ci sono rimasto per 15 anni. Poi andai a giocare un anno a Poggibonsi in Quarta Serie e ho fatto qualche anno di allenatore”.
Gasparroni, secondo le statistiche lei ha 231 presenze in nerazzurro, che ovviamente, in quanto ruspa, ha speso tutti in difesa…
G: “Nella Civitanovese, a dir la verità, iniziai all’ala destra, ma poi si andò a giocare ad Ascoli, con cui ci si odiava, e appena iniziò la partita il loro terzino, forse sapendo che ero veloce, mi spaccò tutto. Avevo 15 anni e mi spaventai al punto di decidere di smettere di giocare, ma il mio allenatore, tale Giovanni Nelli, mi convinse a tornare spostandomi indietro come terzino. Li ero io che spaccavo tutti. Mi vendicavo”.
B: “È la stessa storia di Marco Tardelli. Quando venne al Pisa dal San Martino giocava all’ala sinistra ma l’allenatore lo spostò indietro come terzino cambiandolo nettamente in meglio”.
G: “Quando il giovedì si faceva la partitina Tardelli non riuscivo mai a chiapparlo, e quando ci riuscivo mi facevo male io perché era tutt’ossa”.

Ho visto una foto sui social di una cena di poche settimane fa in onore del ritorno in A in cui Tardelli era a tavola in mezzo a voi due…
B: “Per me è rimasto il Marchino che portavo al mare a Marina di Pisa. Tornando al ruolo iniziai al San Frediano come ala destra nello stesso periodo in cui un mio zio ciclofilo mi voleva ciclista perché con la bici filavo come un treno, ma decisi di fare il calciatore. Una volta, questo zio venne a vedermi giocare a San Frediano contro il Portoferraio e mi vide saltare di testa e subire un brutto fallo che mi provocò una seria ferita alla testa. Allora, mio zio mi montò sulla canna della bici e mi portò a Marciana a farmi mettere i punti da un dottore. Così, anche per quello, quando andai al Rosignano mi spostai a centrocampo, mezzo destro, e da allora non mi sono più mosso dal centro del campo”.
In tutte queste partite disputate pensate di aver più vinto o più perso?
G: “A me, se consideriamo tutte le partite giocate, sembra di aver più vinto che perso”
B: “Le soddisfazioni sono state sicuramente superiori alle delusioni”.
C’è una partita che vi è rimasta più impressa nella mente di altre?
G: “L’ultima del campionato di B nell’anno in cui siamo venuti in A, a Venezia. Perdemmo perché eravamo cotti. Mi spiacque perché avevamo dietro tanti tifosi che erano venuti col treno speciale”.
B: “Era un campionato a 21 squadre e una riposava. Noi non giocavamo l’ultima giornata. Quella, appunto, era la penultima”.
G: “Vincendo a Venezia si sarebbe andati diretti in A, loro lottavano per non retrocedere ma vinsero 1-0. (alla fine i lagunari retrocessero dopo ben due tornei di spareggio, prima con cinque e poi con quattro squadre, ndr). Ci rimasi talmente male che passai tutta la settimana successiva con la paura di non farcela più a salire”.
B: “La partita più strana che, invece, rammento fu l’anno che retrocedemmo in C, quando perdemmo 7-1 a Novara. La cosa strana fu che segnarono dei goal quasi impossibili. Rammento Udovicich, lo stopper, che era a centrocampo e un compagno gli disse di tirare e lui trovò l’angolino. La punta Gabetto. poi, saltò di testa e la prese di nuca facendo un pallonetto che s’infilò nell’angolino dietro il portiere. L’arbitro era Monti di Ancona e Piaceri, all’inizio del secondo tempo, lo chiamò per nome e gli disse di fischiare la fine della partita perché: ”Questi qui ce ne danno 7 od 8”. E lui rispose che non poteva perché era, appunto, appena iniziato il secondo tempo”.
Che poi 7 ve li dettero davvero, purtroppo. Era il campionato 1970-71, leggo sugli almanacchi, e retrocedeste in C proprio per la peggiore differenza reti sul Taranto (- 13 contro i -7 dei pugliesi) rimediata proprio in quella partita. Il vostro più bel ricordo suppongo sarà stato quello della promozione in A. Come siete riusciti nell’impresa?
G: ”Credo che sia stato ‘l’uno per tutti, tutti per uno’. Quando uno sbagliava andavamo in tre a consolarlo. Eravamo troppo amici e lo siamo rimasti”.
B: “Eravamo veramente una squadra”.
G: “Avevamo giocatori come Manservizi, Joan, Piaceri, che hanno fatto in tutto più di 50 goal in una sola stagione.”
B: “Pensare che siamo partiti con giocatori arrivati da noi perchè rimasti fuori dalle loro squadre come Joan, Piaceri, Manservizi, Mascalaito, che si rivelarono giocatori importanti.”
G: ”Fecero la differenza.”
Quando vi siete resi conto, durante la stagione, che potevate fare il salto?
G: “Partimmo bene vincendo le prime partite con largo vantaggio e andammo sempre discretamente. Poi, a dieci giornate dalla fine, l’allenatore Renato Lucchi ci portò in ritiro in Versilia e ci disse: ‘Bimbi, ci sono in palio 20 punti (la vittoria valeva due punti, ndr). Bisogna farli tutti per andare in Serie A’. Noi ci guardammo tra di noi senza dire niente, ed è stato lì che abbiamo cominciato a renderci conto che potevamo riuscire nell’impresa, anche se non avevamo la rosa di altre squadre come Verona, Palermo, Bari.”
B: ”Noi, pochi come s’era, s’arrivò alla fine belli cotti. Io giocai tutte le 40 partite, ma c’erano Gonfiantini e Joan con 39 e a 38 mi pare arrivasti tu Roberto”.
Su Wikipedia vedo a 38 presenze anche Piaceri, Manservizi, a 34 Guglielmoni e a 32 Ripari. Giocaste tante partite in pochi.
B: ”Per quello siamo finiti in calando”.
G: “Io non disputai le ultime due perché fui squalificato per due giornate per un fallo non commesso su Massa, della Lazio, in casa. Cademmo insieme con lui che mi scalciava e l’arbitro buttò fuori anche me. Sotto la doccia ero dispiaciuto ma poi sentii il boato del nostro goal e mi ripresi”.
B: ”Si vinse 1-0 con goal di Joan”.
Quella volta la promozione arrivò senza giocare. Dove eravate ad ascoltare i risultati?
G: ”Io ero a Ferrara con Manservizi, che era di quelle parti, per vedere il Verona, nostro avversario, che giocava li in campo neutro contro il Padova, e mi fermai a casa sua. C’era anche Lucchi per conto suo. Se Bari e Verona avessero vinto in quell’ultima giornata ci avrebbero raggiunti portandoci allo spareggio che per noi era difficile cotti come s’era. I veneti vinsero 1-0 e ci raggiunsero al secondo posto”.
Primo fu il Palermo.
G: “Vero. Poi, finita la partita di Ferrara, non sapevamo niente degli altri risultati perché ai tempi mica era come ora che si sa tutto subito con i cellulari. Così ci siamo messi ad ascoltare alla radiolina i risultati della Serie B e quando si sentì dire 1 a 1 tra Perugia e Bari ci siamo abbracciati, rotolati per terra. Quando vidi Lucchi, che era alto due metri, mi buttai tra le sue braccia. Una gioia indescrivibile. Mi viene sempre la pelle d’oca a ripensarci”.
B: ”Io, invece, stavo sulle scale di casa, collegato al telefono con Largo Ciro Menotti, sede de La Nazione, dove erano radunati tutti i tifosi ad ascoltare da un altoparlante l’andamento delle gare trasmesse in diretta dal giornale per sentire cosa faceva questo Bari a Perugia. Ero in apprensione perché due settimane dopo avrei dovuto sposarmi e se avessi dovuto dovuto fare gli spareggi, dove magari non saremmo andati nemmeno bene, mi sarebbe toccato rimandare il matrimonio”.
Anche in quella occasione, come quest’anno, tra noi e la Serie A c’era di mezzo il Bari…
B: “Appunto. Io ero con la signora Giuliana che indossava la mia maglia, che non mi ha più restituito, e quando arrivò la notizia se ne andò con altri a festeggiare fino a Tirrenia. Io rimasi a casa, da solo”.
G: “Io, invece, dopo la partita arrivai a Pisa a mezzanotte. Ero solo, venivo dalla stazione quando al Ponte di Mezzo vidi una massa di gente. Scesi e tutti mi riconobbero e cominciarono a gridare: ‘C’è la Ruspa, c’è la Ruspa!’. Mi presero e mi sollevarono portandomi in trionfo dal ponte a La Nazione senza mettere piede per terra. La macchina restò lì, sola. Gli altri erano tutti sparsi in giro”.
Dal punto di vista tecnico cosa vi dette per vincere il vostro allenatore Lucchi?
B: ”La grinta, la sicurezza”.
Parlando dei famosi moduli di gioco, lui come vi schierava?
G: “Lui curava le marcature. Il 3 sul 7, il 4 sul 10, il 2 sull’11”.
Era una persona semplice?
G: ”Era bravo”.
B: “Sul piano umano era eccezionale. Il problema era semmai l’impostazione tattica della squadra che era solo una. Sia che davanti ci fosse l’Avellino, l’Inter o il Real Madrid, lui giocava sempre allo stesso modo. Si andò a giocare contro l’Inter a Milano che aveva una punta e mezzo giocando con tre punte”.
Come fu quell’unico campionato di A da voi disputato?
G: “Ci venne a mancare qualcuno. Il povero Annibale che aveva disputato un campionato di B eccezionale quell’anno non rese allo stesso modo. Poi Fabrizio, che era un pezzo da novanta, prese la pubalgia. A novembre, me lo ricordo come fosse ora, ci fu la possibilità di prendere Sarti (era un portiere diventato campione di tutto pochi anni prima con l’Inter, ndr) e Cinesinho (mezzala brasiliana che giocò anche nella Juventus, ndr) ma alla fine non li vollero prendere. Quando, invece, l’anno successivo, in Serie B, spesero dieci volte di più per prendere l’allenatore Toneatto e altri senza riuscire a essere promossi”.
G. “Per me fu un martirio perché soffrivo già l’anno prima in B di pubalgia e patii le pene dell’inferno dovendo giocare tutte le partite. L’anno della serie A cominciai prima ad uscire dieci-venti minuti dalla fine, poi a metà della gara, e infine a non scendere in campo. Effettivamente anche in mezzo al campo mancò qualcosa”.
Fu sbagliata la campagna acquisti perché non c’era disponibilità economica?
B: “Quei due giocatori di cui dicevo prima potevano venire senza grandi spese”.
G: ”Ai dirigenti, brava gente, mancò l’esperienza, chi l’aveva mai fatta la serie A? Nella vita poi, si occupavano d’altro, mica di calcio. Non erano come il grande Romeo o Rozzi dell’Ascoli”.
Avete qualche aneddoto della serie A che vi è rimasto impresso?
G: “Io, la serie A non l’avevo vista mai, lo stadio Olimpico l’avevo visto solo durante il servizio militare. In serie A, non per vantarmi, ma il ‘Guerin Sportivo’, la famosa rivista sportiva, che dava i punteggi ad ogni giocatore, ruolo per ruolo, mi mise al secondo posto dietro solo al grande Giacinto Facchetti buon’anima. Con Lucchi, poi, marcai tutti: mezzali, centravanti, ali. Mi diceva ‘dove va lui, vai te’. E io ci andavo. Non lo mollavo nemmeno se andava a bere”.

C’è un campione dell’epoca che non potete dimenticare?
G: “Tanti: Mazzola, Rivera, la buon’anima di Riva. Ho sempre la foto con lui che era un vero signore e non protestava tanto se lo picchiavi, che poi se alzava il gomitino lui erano dolori. Ma non l’ho marcato in campionato bensì in Coppa Italia. In campionato, del Cagliari marcai Nenè e lo gonfiai come un rospo. Lui si lamentava con l’arbitro Lo Bello: ‘Questo picchia, mamma mia come picchia’, e Lo Bello a me: ‘Hai sentito? Ha detto che lo picchi’. E io zitto, guardavo di qui e di là”.

B: “Io ho un ricordo legato a Kurt Hamrin (l’attaccante svedese soprannominato ‘uccellino’ perché piccolino e guizzante, che quell’anno giocava nel Milan, ndr). Ripari si era spinto in avanti così andai a coprire lo spazio in cui l’attaccante si trovava e quando gli andai incontro mi anticipò con un guizzo di cui non mi resi conto. Un secondo ed era dietro di me”.
Rammento che Annibale parò un rigore a Riva. Ero dietro la porta, in Curva Nord, e lo vidi bene.
G: “Annibale era un ragazzo d’oro. A me e Ripari, dopo la partita, ci portava a casa sua, a Cesena, dove teneva tante macchine tra cui una Jaguar anche perché aveva una moglie facoltosa. Quando eravamo lì a casa sua ci prestava una delle sue macchine, un Maggiolino Volkswagen, per andare a Civitanova Marche dove abitava Ripari, che era quello che guidava perché allora non avevo ancora la patente. Il martedì gli si restituiva. Teneva pure un paio di occhiali da sole laminati d’oro, molto costosi, che mi piacevano tanto. Uno spettacolo, saranno costati mezzo milione. Mi disse che se si fosse stati promossi me li avrebbe regalati e così fu. Quando li indossai, tutto contento, li portai con me a Civitanova per fare il pottaione”.
Siete retrocessi perché eravate in pochi e siete rimasti in contatto tra di voi in tutti questi anni. Avete una chat come altri giocatori?
G: “No”.
B: “Ci sentiamo al telefono molto spesso”.
Chi avete perso, purtroppo, per strada?
G e B, insieme: “Ultimamente Gonfiantini e Davanzati, nel giro di un mese e mezzo l’uno dall’altro. Annibale, Joan, Breviglieri, Federici, Colombo,Lucchi. Alvaro Gasparini, che faceva il secondo al Milan a Liedholm era andato in tournée in Sud America e una mattina lo trovarono morto. Era giovane, aveva sui 40 anni”.
Chi era il più simpatico di tutto il gruppo?
G: “Piaceri. Era un birbante. Succedeva, a volte, che all’inizio di certe partite lui, attaccante che doveva stare davanti, te lo ritrovavi dietro, accanto a noi difensori, così Gonfiantini gli diceva ‘cosa ci fai qui?’. E lui rispondeva: ‘Avanti c’è uno che mi aspetta’. In casa era un leone ma in trasferta no. L’anno prima di venire al Pisa giocava ala sinistra nel Trani e lo marcavo. Arrivò una palla alta e io andai su discretamente ma appena scesi giù trovai il suo gomito: mi spaccò i denti. Tutto il viaggio di ritorno con questi denti rotti! Un dolore! Appena l’anno dopo lo vidi all’Arena gli dissi: ‘Se non fai una quindicina di goal ti spacco tutto’. E infatti li fece”.
I leader chi erano?
G: ”Il capitano Piero Gonfiantini”.
B: “E Sandro Joan”.
G: ”Piero era un signore, quando si doveva andare a parlare col presidente Donati per gli stipendi si contava su di lui per sentire quando arrivavano questi benedetti soldi che si vedevano col cannocchiale. Il presidente, a domanda, rispondeva che ci avrebbe pagato giovedì, senza indicare quale. A volte si è dovuto aspettare persino tre mesi”.
A proposito di denaro, avete guadagnato bene nella vostra carriera?
G: ”Io, nel mio piccolo, non mi posso lamentare, ma non è che allora si guadagnasse tanto. Certo, ho guadagnato di più a Catanzaro ma lì avevo anche tante spese per la nascita di mio figlio e i trasporti. Però, se tornassi indietro, farei di nuovo tutto quel che ho fatto”.
B: “Io, invece dico di no, perché prendevo meno degli altri dato che ero del posto, e non avevo diritto al rimborso di vitto e alloggio. Lo dicevo sempre al presidente e al segretario, il povero Leandro Sbrana: ‘Cosa v’interessa se il denaro lo spendo per il ristorante o lo do ai miei genitori? Ma loro dicevano che mi dovevo accontentare perché non avevo spese e ho sempre accettato le condizioni societarie pur con qualche rimpianto”.
Perché, dopo aver attaccato le scarpette al chiodo non siete rimasti nel mondo del calcio?
G: ”Non ero tagliato”.
B:” Avevo cominciato a fare l’allenatore ma ho avuto una grande delusione sul piano sportivo e non personale per una cosa che non ho accettato e quindi decisi di smetterla col calcio. Non dico né cosa né dove”.
Cosa avete fatto, allora?
G: ”Ho lavorato dodici anni alla Coop della zona e poi sono andato in pensione con i diritti maturati col calcio dopo essermi messo in regola”.
B: “Io, invece, ho lavorato in campo assicurativo con una agenzia delle Generali che avevo a Navacchio”.
Qual è la differenza tra il calcio dei vostri tempi e quelli attuali?
G: “Ora vanno a mille, hanno di tutto, guadagnano un sacco di soldi, e si lamentano. È tutto un altro mondo. Hanno rose di 30-40 giocatori mentre noi, per la serie A s’era 15, tra cui 2 portieri. Giocano anche di più, non ci sono paragoni”.
B annuisce.
Qual è il commento sul trionfo pisano che ha riportato la città in cima al calcio che conta, dopo 34 anni?
G: “Per me il Pisa ha fatto un campionato da 10 e lode. Come minimo c’erano 5-6 squadre con la rosa migliore della nostra ma Inzaghi è stato bravo a creare un ambiente vincente in un modo che mi ha impressionato”.
E dei giocatori chi l’ha impressionata di più?
“Tramoni mi ha colpito molto”.
B: “Effettivamente Tramoni ha delle grosse qualità, e a me, per l’esperienza dimostrata, mi è piaciuto anche Moreo, mentre il portiere Semper ha dato tanta sicurezza. Poi Inzaghi lo dovevano legare alla panchina perché sembrava volesse andare in campo anche lui. Alla fine mi sono commosso.”
G: “Inzaghi è stato bravissimo, fondamentale. Anch’io mi sono commosso il giorno della promozione”.
Ma voi andate sempre all’Arena Garibaldi o vedete le partite in tv?
G: “Io vado poco, prima ci andavo più spesso. Devi dare nome, cognome, indirizzo, ci sono i tornelli, troppo complicato per i miei gusti”.
B: ”Anche a me disturbano tutti quei controlli.”
Quali sono i meriti di questa società che ha risollevato così egregiamente le sorti del calcio pisano?
G: “Mi sembra che la famiglia Corrado abbia messo su una società quadrata.”
B: “Hanno grosse ambizioni vista anche l’idea di fare questo impianto nuovo per gli allenamenti. Al presidente Corrado va riconosciuto il merito di quello che ha fatto. Non credo che si possa criticare una società e una squadra che sono partite senza pretese, sia a livello tecnico che finanziario, e sono arrivate a raggiungere la promozione nella massima serie”.
Basandovi sulla vostra esperienza che consigli vi sentireste di dare a tutto l’ambiente per mantenere i risultati conseguiti?
G: “Comprare quattro-cinque elementi di valore..”
B: “E di esperienza. Sì, ci vorrebbe qualche altro giocatore esperto della serie più importante”.
Cosa mi dite del pubblico pisano?
G: “Da ammirare, fa un tifo schietto, interviene sempre quando c’è qualcosa che non va. A me garba molto. Con me, poi, si sono sempre comportati bene”.
B: “È un pubblico eccezionale, non solo per le partite interne ma anche per quelle esterne, vanno dovunque in trasferta”.
Concludendo, qual è, per voi, la cosa più bella che si prova giocando a pallone?
B: “Lo sport è bello anche se forse quello individuale da più soddisfazioni di quello di squadra, ma il calcio è bello per quello che si fa mentre si gioca: segnare, parare…”.
G: “Passare la palla.”
Cos’è stato, per voi, il calcio?
G: “Il calcio è stato tutta la vita mia”.
B: ”Anche la mia”.
Alla fine non mi resta che salutare e ringraziare entrambi questi campioni gentiluomini, testimoni di un calcio e di un tempo ormai perduti, per avere condiviso momenti del loro glorioso passato. Forse i loro ricordi possono servire anche a far comprendere a chi è venuto dopo di loro quanto e come il calcio e il mondo siano cambiati: nel bene e nel male. E Forza Pisa, ovviamente!
Guido Martinelli