Una trentina di anni fa leggevo sui giornali sbigottito le rimostranze di chi si batteva contro l’apertura dei centri commerciali, cercando di capire come si facesse ad andare contro la modernità e la libertà d’impresa. Dopo un po’ di anni credo di aver capito l’altra faccia della medaglia: la desertificazione dei centri abitati, con la progressiva chiusura, anno dopo anno, dei piccoli esercizi commerciali, a meno che non siano di nicchia e specializzati. Non è una questione ideologica, non c’entra nulla la destra e la sinistra e nemmeno le mode, si tratta di dinamiche sociali, abitudini che si cambiano e si consolidano. Non ho mai avuto nulla contro i centri commerciali, anche se li trovo un po’ alienanti, specie quelli al cui interno non si vede mai la luce del sole. Preferisco quelli dove i negozi più piccoli si alternano ai mega store, possibilmente dando la possibilità ai clienti di muoversi fuori e dentro uno spazio chiuso.
Gli ultimi dati di Confesercenti sulla Toscana evidenziano che la chiusura dei negozi avanza inesorabile con un ritmo di 10 ogni giorno. Il 2024 è stato un anno molto negativo per i cosiddetti negozi di vicinato: 3.645 sono stati costretti a chiudere. E negli ultimi 10 anni la Toscana soffre di un particolare fenomeno socioeconomico, la desertificazione commerciale, che colpisce oltre duecento comuni della Toscana, con una fetta di popolazione assai consistenti, pari a 1,3 milioni di persone, che non ha più accesso ai servizi di base. Nello stesso periodo hanno chiuso quasi 8.500 attività al dettaglio. Numeri che fanno davvero impressione.
Inutile pensare di tornare indietro agli anni Cinquanta del ventesimo secolo, quando olio, caffè, burro, pasta e altri prodotti di largo consumo si acquistavano sfusi oppure si faceva la spesa ogni giorno. Nessuno rimpiange quei tempi, che pure avevano dei lati positivi, se non altro nella speranza, diffusa, di un futuro migliore dopo le ristrettezze e le distruzioni della guerra. Da lì a poco sarebbe arrivato il grande boom economico degli anni Sessanta, ponendo anche l’Italia tra i Paesi più avanzati. Dobbiamo riflettere, però, su dove siamo arrivati e dove stiamo andando.
Nico Granchi, presidente di Confesercenti Toscana, osserva che “la fotografia della Toscana di oggi evidenzia un significativo calo delle attività commerciali di base, influenzato da crisi pandemiche, aumento dei costi energetici e crescita del commercio digitale, un fenomeno molto più pronunciato nei piccoli comuni, dove la riduzione della popolazione ha portato alla chiusura di numerose attività e all’impoverimento dei luoghi”.
Facile intuire che una zona dove tutte le attività commerciali chiudono si improverisce e muore. Quali sono le attività più colpite? Ovviamente le edicole, con giornali e riviste che si vendono al lumicino, ma anche negozi di elettrodomestici, minimarket e distributori di carburante. In aumento invece attività come panetterie e tabaccherie.
I piccoli centri, quelli con meno di 5mila abitanti, hanno perso abitanti (-6% rispetto al 2014, -2,5% tra i 10 e i 15mila), ed è proprio in queste realtà che si è registrato il maggior numero di chiusure di negozi e servizi. Nulla di strano, è la legge della sopravvivenza. Altri piccoli centri, invece, vedono sorgere numerosi ristoranti per i turisti. Segnò di vitalità, sicuramente. Ma un paese può vivere di solo turismo? Chi governa i territori oggi più che mai ha il dovere di provare a fare qualcosa per cercare di rivitalizzare (e risocializzare) i piccoli e medi centri urbani.